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Home » Esteri

“Qui la gente muore: in nome di Dio, fate qualcosa per noi”: l’appello disperato dei migranti del centro di detenzione di Trik al Sikka, in Libia | VIDEO

Durante la puntata di Propaganda Live di venerdì 25 ottobre Francesca Mannocchi ha trasmesso il suo reportage dal centro per migranti

L’appello dei migranti del centro di detenzione di Trik al Sikka, in Libia

La giornalista italiana Francesca Mannocchi ha visitato il centro di detenzione per migranti di Trik al Sikka, in Libia, e il suo reportage è stato trasmesso venerdì 25 ottobre durante la settima puntata di Propaganda Live.

S&D

“Per favore, per favore, la gente muore, ti stiamo implorando, aiutaci”, esclamano i detenuti quando vedono la giornalista arrivare nel centro.

“Ieri quando stavamo dormendo, abbiamo sentito una bomba”, raccontano.

Nel centro si vedono i materassi dove i migranti dormono ammassati in un’enorme stanza senza porte né finestre.

“Solo un pezzo di pane, per tutta questa gente”, dicono i migranti in coro. “Ti imploriamo, non c’è acqua, acqua non è buona”.

Mannocchi si ferma a parlare con un migrante del Ghana, Mohammed, di 35 anni, che vive nel centro da quando i guardacoste libici lo hanno preso dal mare e lo hanno riportato indietro.

Una volta dentro è stato picchiato e privato di tutti i suoi effetti personali. Ora vive senza parlare con i suoi cari e implora aiuto.

“Guardaci puzziamo. Quando ci svegliamo al mattino riceviamo mezzo panino, solo questo. Due cucchiai di cibo. Da quando sono arrivato non mi sono mai fatto una doccia. L’acqua è sporca”.

Ora più che mai la Libia non è un porto sicuro: i centri per migranti di Tripoli sono un inferno

“Da quando mi hanno preso in mare non mi sono mai cambiato, ho soli questi vestiti. Quando mi hanno preso, due settimane fa, avevo questi abiti”.

“Ci picchiano su questi abiti e io mi gratto tutto il corpo. Stiamo vivendo in queste condizioni pessime. Ci hanno preso senza scarpe e sono ancora senza scarpe. La gente diventa pazza qui”, racconta Mohammed.

“Ho una moglie e due figli che non sento da quando ho provato ad attraversare il mare. Lei non sa se sono vivo o morto, non sa dove sono. Quando sono arrivato qua ci hanno picchiato, hanno preso il telefono, tutto. Per favore, in nome di Dio, fate qualcosa per noi, in fretta. Vogliono che torniamo nel nostro Paese, ok. Ma fate qualcosa per noi, non in questo Paese”.

Chi controlla davvero i centri di detenzione in Libia, dove i migranti vengono torturati e stuprati
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