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La guerra dei bambini: così in Medio Oriente gli adulti devastano le vite dei loro stessi figli

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Credit: AP

Fra le vittime del conflitto, quasi metà sono bambini. E chi sopravvive subisce traumi psicologici che si porterà dietro per sempre. Dalla depressione a pensieri suicidi

C’è un verso in napoletano di una canzone di Enzo Avitabile che dice «Tutt’eguale song ’e criature, nisciuno è figlio de nisciuno, tutt nati dall’ammore, se sape come si nasce, ma nun se sape comme se more». La traduzione è abbastanza semplice, significa: «Tutti uguali sono i bambini, nessuno è figlio di nessuno, sono nati tutti dall’amore. Si sa in quale modo si nasce, ma non si sa in che modo si muore». 

S&D

Tutti i bambini del mondo sono uguali, nascono piangendo, emettendo il loro primo vagito nel mondo, e non sanno quale sarà il futuro che li attende. Alcuni conosceranno la gioia di una vita sicura, altri perderanno ogni certezza, altri ancora non sapranno mai cosa vuol dire pace. Ed è così per tutti i bambini di tutte le zone di guerra. Dalle uccisioni indiscriminate alle mutilazioni, dai rapimenti alle violenze sessuali, fino al reclutamento nei gruppi armati e alla distruzione di scuole e ospedali così come delle strutture idriche essenziali, i bambini che vivono nelle zone di guerra in tutto il mondo continuano a essere sotto attacco. 

Nel conflitto tra Israele e Hamas sono ancora loro a pagare il prezzo più alto: i bambini. Secondo il Ministero della Sanità palestinese, a Gaza sarebbero stati uccisi più di 8.300 palestinesi, tra cui più di 3.400 bambini, con oltre 6.300 bambini feriti. Ciò significa che più di 420 bambini vengono uccisi o feriti a Gaza ogni giorno. 

Quanti bambini sono morti a Gaza? Quanti in Israele? Quanti tra gli ostaggi di Hamas? Ora più che mai è importante non trasformare quelle vite in numeri, ma rispettare e sottolineare la gravità di quanto sta accadendo.

Lo dice Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia, che parlando con TPI sottolinea: «C’è un punto che dovrebbe essere messo in evidenza ed è il numero dei morti. Se c’è un errore che si commette, quello è dividere i bambini morti tra una fazione e l’altra. È illogico. Tutti i bambini non devono morire in un contesto di guerra, non vanno colpiti, vanno tutelati. Il computo dei bambini morti, cosa che già non dovremmo fare, va considerato sia di quelli israeliani sia di quelli palestinesi. Ci sono bambini ostaggio che in questo momento vanno liberati. Ci sono bambini sotto le bombe che non dovrebbero stare lì. Sono loro a pagare il prezzo più alto di questa guerra».

«Pensiamo – prosegue Iacomini – agli effetti collaterali gravissimi che riguardano non solo i bambini di Gaza ma anche quelli di Israele. Tutti i bambini di questo conflitto vivono in condizioni tali per cui hanno paura di tutto, non dormono la notte, fanno la pipì a letto, non parlano con i genitori, appena sentono un rumore scappano. Pensiamo all’odio di un bambino che viene mutilato, che perde un papà o una mamma e che dentro di sé ha una grande voglia di vendetta. Da una parte e dall’altra. Quello che è accaduto è per mano degli adulti, non certo dei bambini innocenti che vivono un dramma umanitario». 

«C’è un diritto che viene negato a questi bambini. Oggi parlare di pace sembra non andare di moda, preferiamo schierarci. Io, invece, volevo dire che i bambini sono innocenti e bisogna optare per la pace. Qui hanno tutti torto, serve la pace. La Convenzione del 1989 sui Diritti dell’infanzia parla chiaro, l’hanno firmata tutti gli Stati: parla di protezione dell’infanzia, i bambini non devono essere esposti alle guerre, non devono essere uccisi, non devono essere vittime della violenza degli adulti. Io credo che si sia superato il limite della decenza da tutte le parti», conclude Iacomini.

Torna utile a questo punto raccontare una storia riportata dalla Bbc. Nei primi giorni della guerra tra Israele e Hamas sono stati uccisi due bambini, entrambi di 4 anni: uno israeliano, l’altro palestinese.

Come riferisce la giornalista Marianna Spring, molti dei post che apparivano sui social non piangevano la loro morte: cercavano invece di negare che gli omicidi fossero realmente avvenuti.

Omar Bilal al-Banna e Omer Siman-Tov vivevano a circa 23 chilometri di distanza, su entrambi i lati della recinzione perimetrale Israele-Gaza. Non si sono mai incontrati, ma entrambi adoravano giocare fuori con i loro fratelli.

I volti di questi bimbi sono apparsi sui social della giornalista più volte. Marianna Spring ha rintracciato familiari, amici e testimoni. In entrambi i casi emerge una storia tragica. Omer Siman-Tov è stato ucciso quando Hamas ha attaccato la sua casa nel Kibbutz Nir Oz, il 7 ottobre. Omar Bilal al-Banna quattro giorni dopo, in seguito a un attacco aereo israeliano su Zeitoun, a est di Gaza City. 

Il modo in cui la morte dei ragazzi è stata negata dagli utenti dei social media è il simbolo di una battaglia informativa che corre parallela alla guerra sul campo. Ci sono stati tentativi sfacciati di minimizzare o negare le violenze commessa contro i bambini. «Queste false accuse hanno scioccato le famiglie e gli amici in lutto per la perdita dei loro cari, come le persone che hanno assistito a quanto accaduto», racconta Spring. 

cSe il principio è quello dello schieramento, è chiaro che non ne usciamo più», osserva Iacomini. «Mi auguro che le diplomazie siano a lavoro, perché se non è così lo scenario che abbiamo davanti si fa apocalittico. Mancano i grandi uomini di pace. Mi chiedo se esistano ancora. Di sicuro io credo che si possano ritrovare nella gente comune, nelle mamme che resistono e protestano per tutto questo. Ma spetta a chi governa dimostrare di essere una classe dirigente che non ci porta a una guerra mondiale».

«Sto con quelli che vogliono che si fermi tutto questo. Ormai i numeri ci passano davanti con una facilità sconvolgente, pensiamo che 2mila bambini morti in mare siano serviti a qualcosa? 50mila uccisi in Siria, o nel terremoto del Marocco hanno scosso le nostre coscienze? Abbiamo l’indignazione a orologeria, dura poche settimane. Tutto questo rimarrà nelle coscienze delle persone per pochissimo tempo. Per poterlo evitare bisogna raccontare le storie, portare le testimonianza». 

Secondo un rapporto del 2022 di Save the Children, il trauma costante ha portato quattro bambini su cinque a Gaza a vivere con depressione, dolore e paura. Più della metà lotta con pensieri suicidi e con il trauma di assistere alla morte di altri bambini. Mentre il bilancio delle vittime aumenta, i genitori fanno del loro meglio per creare un senso di normalità per aiutare i loro figli ad affrontare la situazione. Va ricordato che la metà dei 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza ha meno di 18 anni. 

Al Jazeera riporta la storia di Samah Jabr, una 35enne madre di quattro bambini a Gaza Cit: la donna è preoccupata per suo figlio maggiore, Qusay, 13 anni. «È molto agitato in questi giorni. Salta a qualsiasi suono», ha detto. «Non sopporta che qualcuno parli ad alta voce, anche se sta scherzando. Cerco di dirgli che questa guerra finirà». Jabr abbraccia Qusay tutte le volte che può, tenendolo stretto e parlando in modo rassicurante di ciò che faranno dopo la guerra. Spera che questo gli dia la forza per superare questo momento. «Il suono dei missili è terrificante, la nostra casa trema forte». 

C’è poi Manal Salem, che vive a Gaza City e che racconta come ogni giorno faccia parlare i suoi tre figli con i nonni per raccontare loro cosa hanno sentito durante la notte e se questo li abbia spaventati o meno. La figlia di Salem, Mai, che ha 6 anni, soffre di ansia da separazione perché suo padre, un medico che lavora al pronto soccorso dell’ospedale Al-Shifa, non torna a casa tutte le sere. «La bambina – racconta Salem – pensa che suo padre verrà colpito da un missile ogni volta che non sarà a casa con lei».

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