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Joca, il mistero del “Che” dimenticato

Immagine di copertina
Joca, il mistero del “Che" dimenticato: la storia di Libero Giancarlo Castiglia

Libero Giancarlo Castiglia è un ragazzo italiano sparito nel tentativo di resistenza alla dittatura brasiliana, un libro inchiesta ne riporta a galla la storia

Il testo “Joca, il mistero del “Che” dimenticato“, edito dalla Mimesis e introdotto da un saggio sulla cultura emigrante in Brasile a firma dell’intellettuale Goffredo Fofi, si occupa della vicenda di un giovane italiano emigrato a Rio a metà degli anni ’50 e scomparso fra il 1973 e il 1974 nei tragici sviluppi della guerriglia dell’Araguaia.

Libero Giancarlo Castiglia, operaio e militante del giornale “A Classe Operaria”, dopo il colpo di Stato del 1964 entra nella commissione militare del Partito Comunista e aderisce alla lotta armata in Amazzonia, dove lo conoscono con il codiname “Joca”.

Brasile Libero Giancarlo Castiglia Joca
Libero Giancarlo Castiglia

Fra gli ultimi comandanti del Distaccamento A sarà anche fra gli ultimi ad arrendersi in battaglia.

Il testo ricostruisce la storia dell’italiano incrociandola a quella dei tanti giovani che nelle città e nelle foreste hanno vissuto quel pezzo di storia del Brasile che prosegue fino al nostro tempo.

Nel 2007 infatti, un delegato del governo Lula va a casa dell’anziana madre del guerrigliero, nel Sud dell’Italia, e porta in Brasile i campioni del dna utili a riconoscere la salma trovata anni prima da un gruppo di ricercatori della Commisao da Verdade.

Da allora mistero più assoluto: preceduto e succeduto da due incursioni d’inchiesta, il testo indaga anche il destino delle spoglie di Castiglia, più volte reclamare dai familiari, ma mai restituite all’Italia.

Di seguito, in esclusiva per TPI, alcuni brevi estratti del libro.

Brasile Libero Giancarlo Castiglia Joca

IL COLPO DI STATO

La fede sotto gli stivali, gli occhi iniettati di patria e di sangue. Alle tre della notte più buia le truppe guidate dal generale Olímpio Mourão Filho riversano urla e violenza nelle strade di San Paolo del Brasile; presidiano le stazioni e i palazzi del potere, si impossessano degli ospedali e stuprano le case dei seguaci del presidente: è il colpo di Stato. In casa Castiglia, a Rio de Janeiro, la mattina nasce con il golpe ancora in atto. È il primo giorno di aprile del 1964, mai più uno come gli altri. Libero Giancarlo è già andato in fabbrica e in casa tutti temono per la sua sorte. I telefoni sono troppo pericolosi, come tante altre cose che in quel momento si trovano in casa. Papà Luigi fionda Walter Mario a cercare i libri e tutti i numeri del giornale, gli appunti e le canzoni. Tutto brucia accatastato in giardino mentre la radio in soggiorno parla di guerra senza conoscere pace, onde medie e basse di frequenza grattano frenetiche muri di pareti diventate sottilissime. Si capisce poco, e meno se ne può parlare: così il più piccolo di casa rompe gli induci ed esce. Scocca mezzogiorno, il cielo sulla controrivoluzione non lascia ombre sulla strada. Striminziti bermuda blu e una larga canotta bianca: corre Walter Mario sotto il sole cocente di Rio, ancora non sa verso cosa. L’aspetta l’inferno, gli scontri della polizia con studenti e operai esplodono in ogni anfratto: anche la stazione è presa d’assalto dai blindati. Il suo piano va rivisto. Il traghetto salpa verso Niteroi, verso casa Grabois, una ridente villetta a due piani più mansarda. È circondata dalle milizie, ma dentro non sembra esserci nessuno. Dopo più di un’ora di presidio, i militari vanno via: è il momento che aspettava. Si muove come un’ombra, supera il portone di casa e lancia la voce nella gola di corridoi bui di un giorno ancora più buio. Non c’è nessuno davvero, sono scappati tutti via prima dell’arrivo delle truppe, all’alba. Sono fuggiti: dal regno dei vivi o da quello dei morti non è dato ancora saperlo.

L’ORRORE IN CITTÀ 

Il 13 dicembre 1968 la dittatura brasiliana decreta l’AI-5, la sigla che sancisce l’intensificazione della repressione militare. Con l’Atto Istituzionale numero cinque vengono attribuiti al capo dello Stato poteri illimitati: scioglimento del congresso, annullamento dei mandati parlamentari, sospensione dei diritti civili e politici dei cittadini, confisca dei loro beni e soprattutto abolizione del principio dell’habeas corpus, ossia le garanzie del cittadino arrestato e accusato di reati politici e contro la sicurezza dello Stato. Lo stato di diritto viene quindi sequestrato davanti agli occhi inermi del resto del mondo. Molti dei militanti che vivevano e facevano attività politica nelle città ora camminano su un vorace precipizio, senza alcuna protezione. Le notizie di processi sommari e di condanne lampo rimbalzano in tutto il paese e le bande di polizia – conosciute ben presto come squadroni della morte – spadroneggiano con l’autorizzazione a torturare e in alcuni casi anche ad uccidere. Si apre una stagione di terrore legalizzato nelle caserme, e la sopravvivenza per alcuni versi miracolosi di alcuni arrestati testimonia un punto di vista più umanizzato di ciò che sta succedendo in questi anni di alienazione. Chi tortura non è un mostro al soldo del male, ma un mite funzionario alienato da una quotidianità figlia del tempo. Buoni mariti, padri amorevoli, vicini di casa gentili, con la violenza nella propria “routine” professionale. Eseguono degli ordini e l’incapacità manifesta di rendersi conto dell’orrore e di percepire prima e dopo il segno abbondantemente passato, restituisce una lezione fondamentale: può sempre ricapitare. Il destino della tortura infatti è legato a quello dei torturatori, rimasti impuniti al proprio posto di potere. Cid è un sopravvissuto: dopo dieci anni di esilio in giro per il mondo riesce a tornare in patria e cambiare vita, diventa giornalista. Un giorno, nell’orinatoio del teatro comunale, incontra un poliziotto in cui riconosce il boia che 19 anni prima si vantava di massacrare i ragazzi arrestati in città con delle scosse elettriche al pene. Mentre sono uno affianco all’altro, soli in quel freddo bagno, Cid lo chiama per nome, guardandolo negli occhi:

– «Timoteo?».
– «Sì, sono io».
Da anni convive con l’attesa di venir raggiunto dalla vendetta.
– «Ti ricordi di me? Chi l’avrebbe mai detto… ormai sei stanco di darmi scosse al cazzo: adesso pisciamo uno vicino all’altro, e Lula presto sarà presidente».
Mentre lo dice Cid capisce di non avere più tracce di odio nel corpo. Sono due persone normali, figlie di un tempo normale. Prova a farglielo notare con un sorriso distensivo.
– «Sono cambiate le cose, eh?»
– «Questo lo vedremo»
Ringhia il poliziotto, sbattendo dietro di sé la porta del cesso.

LA GUERRA DI JOCA

La Resistenza ha deciso di spostarsi lontano da tutto questo, e di provare a ribaltare il mondo dal cuore dell’Amazzonia. Nella valle bagnata dal fiume Araguaia per la causa giungono sì lavoratori e contadini, ma anche studenti, infermieri, medici, geologi, ingegneri. Fra di loro l’ex tornitore meccanico che oggi chiamano comandante Joca è un diamante preziosissimo. Per l’apporto che sa dare nella vita di ogni giorno, in quegli anni il giovane Libero Giancarlo Castiglia diventa conosciuto e rispettato al pari di Osvaldão. Soprattutto guadagna fin da subito, agli occhi dei leader, i galloni che contano prima della battaglia. Lui, unico non brasiliano, addirittura non sudamericano, siede in quella masnada di eroi romantici solo per l’amore di un ideale, e per questo è ascoltato e rispettato da tutti.

Per non essere sconfitti dalle truppe del regime si pongono tutte le speranze in due alleati formidabili: la foresta e la popolazione locale. Senza di loro sarebbe tutto vano. Se quel gruppo di ragazzi riuscirà a dominare la foresta e a cementare il rapporto di alleanza con le masse sfruttate, allora il nemico potrà essere respinto ad oltranza. Lo dicono i principali documenti del Comitato Esecutivo e del Comitato Centrale e Joca, poiché ne fa parte, li conosce a memoria. Ormai è lontano dalla vita passata e sta per entrare in quella futura; insieme agli amici di una vita si trovano nel mare aperto della loro anima. Fra qualche mese l’Amazzonia gli farà conoscere libertà o morte. Se non entrambe. Ma è nel momento preciso in cui capiscono che morire in piedi sarà meglio di continuare a vivere in ginocchio che nelle loro coscienze si materializza il mondo migliore che hanno sempre sognato. Cosa sta per accadere ha dell’incredibile e l’ordine è quello di farlo sparire dalla storia, ma il coraggio di quei ragazzi è esistito, e resiste ancora.

 

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