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Home » Esteri

Le voci di piazza Taksim

Immagine di copertina

La protesta turca si diffonde nelle piazze del Paese. Ecco cosa racconta chi la vive in prima persona

Dall’11 giugno – giorno della prima offensiva della polizia a parco Gezi – non si è mai spento un senso di attesa quasi spasmodico, intervallato da inquietanti temporali, concerti al pianoforte e notizie che no, in realtà la piazza non verrà attaccata, o forse sì, verrà attaccata poco prima del canto del primo muezzin.

Dopo esserci confrontati con una serie di manifestanti, generalmente giovani, che ci hanno spiegato quale fosse la loro idea del futuro imminente, abbiamo cercato di delineare più dettagliatamente quello che le prossime giornate porteranno alla piazza. Le interviste sono state realizzate fra il 14 notte e il 15 giugno, nelle prime ore del mattino.

Sarp, 25 anni, appena laureato in scienze politiche, volontario per Greenpeace dal 2005.

Intervistatore: Raccontaci della piattaforma di solidarietà di Taksim.

Sarp: Conosco il versante che interessa noi, cioè Greenpeace. Per statuto siamo apolitici, ma comunque il nostro obiettivo non differisce dalle componenti politiche della piattaforma: vogliamo convivenza civile, con quelli che sono apostrofati come ‘marginali’, vogliamo empatia. I nostri interessi sono lo sviluppo sostenibile delle città. È difficile trovare la voce unica, autentica, che ci serve di fronte ad un regime così autoritario, monocratico e impositivo. La piattaforma è un aggregato di quelli che hanno manifestato a Gezi. L’idea è che siamo tutti rappresentati in maniera equa per poterci rapportare con poteri che finora non ci hanno dato ascolto. Hanno cercato di metterci la maggioranza della popolazione contro, dicendo che siamo entrati in moschea con le scarpe, che abbiamo bevuto di fronte alle donne in moschea… si sono inventati tutto. Hanno provato a buttarci di tutto addosso. Si sono inventati la scusa “dell’inficiato sviluppo psico-emotivo” dei bambini che hanno visto in televisione i filmati degli scontri. Quello che stanotte è stato richiesto è stato accolto parzialmente dal governo. Come conseguenza autenticamente positiva, ieri sera non ci sono stati scontri. Il mondo ha gli occhi puntati su di noi, la piattaforma però deve sbrigarsi a trovare una dialettica che renda possibile il confronto fra tutti, con tutti. Ora abbiamo diviso Gezi in sette distretti, e assegnato a ogni componente della piattaforma un numero di due candidati, una donna e un uomo, per far sì che tutto fluisca nella maniera migliore.

Intervistatore: Cosa succederà nei prossimi giorni?

Sarp: Al momento la decisione di costruire il parco o meno è al vaglio della Corte Amministrativa di Istanbul, che deve esprimersi dopo l’appello fatto dal governo alla prima sentenza, che bloccava la costruzione. Ci sono una serie di leggi ambientali che verrebbero infrante se venisse costruita una parte del complesso. Erdogan ha precisato che dopo la decisione della Corte si potrà procedere a un referendum, ma sembra più una presa in giro che altro. So che sono già in corso dei preparativi per organizzarlo, è molto probabile che le corti si esprimeranno a favore del governo… Insomma, capisci. Fra sabato e domenica si terranno una serie di manifestazioni dell’Akp in tutta la Turchia. Molto spesso questi incontri sono organizzati pagando i manifestanti, provvedendo al loro trasporto da remote periferie, senza che a nessuno effettivamente vada di manifestare. È una dimostrazione di forza, una flessione di muscoli ulteriore. Per quanto riguarda la possibilità delle violenze, mi sembra che sia ancora presente. Per due giorni, nonostante gli ultimatum, non è successo niente. Ma se martedì la Corte avrà deciso che il complesso si può costruire, se il referendum lampo sarà concorde, arriveranno ripercussioni, anche molto forti. Tieni presente che già da qualche giorno perquisiscono passanti a caso, e se li trovano in possesso di maschere antigas o addirittura maschere da sub li arrestano ed è possibile che li accusino di terrorismo contro lo Stato turco. Ad Ankara usano ancora i gas lacrimogeni come se non ci fosse un domani, insomma, sono cauto.

Intervistatore: Che effetto ha avuto l’incontro di ieri con Erdogan?

Sarp: Alcuni se ne sono già andati. Vogliono dividerci, sfiancarci.

— 

Boysan, 28 anni, artista e copywriter.

Intervistatore: Cosa c’entri tu con la piattaforma di solidarietà di Taksim?

Boysan: Sono uno dei membri dell’Lgbt Blok, un’organizzazione che si occupa di difendere i diritti, appunto, della comunità Lgbt. Il nostro coinvolgimento nelle proteste è iniziato sin da subito. Ci battiamo per il diritto all’identità e all’esistenza indisturbata di chi devia dal paradigma dominante che Erdogan tanto celebra e promuove. Sono appena uscito da un’assemblea che abbiamo tenuto su chi mandare alla piattaforma stanotte. Le richieste che abbiamo avanzato ieri sono state solo parzialmente accolte: noi chiediamo rilascio immediato degli imprigionati durante gli scontri, diritto a manifestare in tutte le piazze della Turchia, l’interruzione della costruzione del complesso e indagini estensive nei confronti di chi ha commesso violenze sui manifestanti, ma ci è stato accordata solamente un’investigazione sulle violenze e un parziale blocco della costruzione, per aspettare la decisione della Corte d’appello.

Intervistatore: Come vedi il futuro?

Boysan: Lo vedo come una sfida. Erdogan gioca sempre di più sulla dialettica 50-50, noi contro loro, voi contro noi, giusto contro sbagliato. Si è reso conto che non può eccedere con le violenze perché ha gli occhi del mondo puntati addosso, ma so che in cuor suo non vorrebbe far altro. Sta approfittando della situazione per lanciare la sua nuova campagna elettorale, vuole dividerci sfiancandoci, farci apparire violenti, marginali, insomma il solito. Se ci saranno milioni di persone in piazza domenica (a pagamento) non sarò sorpreso. Noi comunque da qui non ce ne enfiamo.

[Lascio Boysan, che deve entrare alla riunione dei rappresentanti di tutti i movimenti che si tiene al TMMBO, la gilda di architetti ed ingegneri di Istanbul, a due passi da Taksim. Sono ormai le 8 di sera. All’ordine del giorno c’è la rielaborazione dei punti da sottoporre ad Erdogan, la decisione se rimanere o meno al parco ad oltranza, il futuro del movimento. Io vado via, ma Boysan mi dice di tornare verso le 4 del mattino, e mi trovo di fronte a quello che si può dire veramente democrazia diretta in fase embrionale: persone che urlano, cercando disperatamente (e stancamente) di trovare un accordo. Sono lì in veste di amico, non di reporter, né di fotografo. È fatto divieto assoluto di twittare. Nessuno scatta fotografie.]

Intervistatore: Raccontami cosa è successo in questa riunione.

Boysan: Si decide di rimanere al parco, di richiamare alla protesta e coinvolgere ancora di più tutti i movimenti delle città dell’Anatolia, separate dalla ‘vetrina’ di Istanbul, su cui sono puntati gli occhi del mondo. Si redige un discorso da pronunciare la mattina seguente, cioè oggi. Molto della discussione è dedicato alla precisa scelta dei vocaboli da usare. Il comitato finalmente converge sul da farsi per quanto riguarda il funerale di un ragazzo ucciso dalla polizia: domenica si terranno manifestazioni in contemporanea a Taksim e a Kizilay, l’equivalente ad Ankara. I sindacati rimangono sotto l’egida della piattaforma, e molti gruppi non toglieranno le loro bandiere dal parco, nonostante i toni apparentemente conciliatori di Erdogan. I manifestanti vogliono rimanere fino al 30 giugno, giorno in cui si terrà il Pride – manifestazione dove solitamente c’è un’abbondanza di uso di TOMA e gas lacrimogeni. Sai, ieri ci siamo mostrati deboli, e siamo stati trattati senza legittimità. Erdogan ha dato un altro ultimatum per le 11 di oggi, e siamo ancora qui. Il referendum è una panzanata totalmente populista, come quelle che hanno permesso a Erdogan di rimanere in carica. La nostra protesta non ruota solamente intorno al parco, e la sua ostinazione a non riconoscere le altre nostre richieste è come un muro di gomma. La polizia si è espressa sulle scarse condizioni di igiene del parco, inventandosi che l’ospedaletto che ha salvato migliaia di feriti è illegale e non conforme alle norme di sicurezza pubblica. I dottori sono volontari, eh. Puliamo noi la piazza, la gestiamo noi. Gezi è ormai una città liberata dentro un’altra città. Sarà tutto più chiaro domenica.

— 

Hakan, 40 anni, professore di scienze politiche / relazioni internazionali

Intervistatore: A quale componente appartieni?

Hakan: A Müsterekler, un’organizzazione che da sempre si occupa della difesa del diritto di manifestare, d’associarsi, e protegge i diritti dei migranti in generale.

Intervistatore: Come valuti i negoziati?

Hakan: Finora sono stati poco soddisfacenti. Mentre il vicepremier sembra usare toni più accoglienti nei confronti delle nostre richieste, il meeting che abbiamo avuto ieri con Erdogan è stato un vero disastro. Ci siamo mossi poco compatti e poco rappresentativi di tutte le componenti, e quindi la piattaforma è stata percepita come illegittima sia dall’alto che dal basso. È difficile avere a che fare con forme di democrazia dirette, in cui movimenti ignoranti dal mainstream politico nazionale finalmente trovano spazio per esprimersi. Per quanto difficoltoso come processo, sono momenti straordinari. La piazza ha dimostrato di saper resistere ad atteggiamenti autoritari, di sapersi muovere pacificamente e di saper resistere alle minacce. Siamo stati in grado di sdrammatizzare con i social media, ma ti assicuro che spesso siamo stati atterriti dalle possibile conseguenze delle nostre azioni. Quello che vogliamo è che i nostri diritti siano riconosciuti. Non possiamo aspettare l’arrivo di ogni notte con la paura che saremo brutalmente arrestati, gassati, minacciati di stupro e tortura sotto custodie illegali. Erdogan ci deve ascoltare, deve smettere di pensare al suo futuro politico e aprire autenticamente al dialogo. Siamo in milioni, stiamo scrivendo la storia.

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