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Home » Esteri

La scuola dei transessuali

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A Yogyakarta, in Indonesia, c'è una scuola dove i transessuali possono studiare l'Islam e pregare liberamente

Yogyakarta, Indonesia – C’è un caldo soffocante in queste due stanze. La direttrice arriva, s’inginocchia e si presenta.

“Nama saya Maryani” – il mio nome è Maryani – e sono nata il 15 agosto 1960 a Yogyakarta. Da cinque anni dirigo la scuola Senin-Kamis. Mi vesto da donna da quando sono adolescente.

Vorrei che la gente accettasse che anche noi waria (del terzo sesso) siamo esseri umani, creati da Dio, e con il diritto di pregarlo. Non siamo ammesse nelle scuole dove s’insegna il Corano, così nel 2008 ho deciso di aprirne una nostra”.

Senin-Kamis significa lunedì-giovedì, i giorni d’apertura della scuola. Il termine waria è un’unione tra wanita e pria, che stanno a significare rispettivamente donna e uomo, in indonesiano.

L’Indonesia è il Paese con il maggior numero di musulmani al mondo, l’unico dove una comunità di travestiti può studiare il libro sacro dell’Islam seguita da due ustadz, insegnanti dei precetti della religione musulmana, e bisbigliare le proprie preghiere nelle orecchie di Allah.

A Yogyakarta, considerata la capitale culturale dell’isola di Giava, la comunità di transessuali è vivace e numerosa, conta diverse centinaia di travestiti, integrati e rigettati allo stesso tempo dal tessuto sociale della città.

Non passano certo inosservati durante le loro passeggiate chiassose nelle vie del centro. O durante gli spettacoli che ogni venerdì e sabato vanno in scena in uno dei ristoranti più affollati di jalan Malioboro, la strada più trafficata della città.

Arrivano da tutto il Paese, specie da isole come Sumatra e Lombok, dove i dettami dell’Islam sono impugnati come chiodi per crocifiggere i comportamenti non conformi.

Fondotinta pesante, faccia gonfia di silicone, una calcata di rosso sulle labbra, la fondatrice della scuola per transessuali Maryani parla degli avvenimenti più significativi della sua vita.

“Quando ho cominciato a vestirmi da donna, me ne sono andata da casa. Ero ancora molto giovane. Ho fatto ogni genere di lavoro: dalla prostituta alla cantante di dangdut, una sorta di pop romantico indonesiano.

Solo più tardi la mia famiglia ha accettato la mia scelta. Oggi sono in buoni rapporti con mia madre e con mio fratello. Ora lavoro come truccatrice e pettinatrice per i matrimoni”.

Guadagnarsi da vivere resta il primo problema per i waria indonesiani. Molti di loro si prostituiscono lungo i binari della stazione ferroviaria, altri scuotono sonagli in mezzo al traffico per racimolare qualche moneta.

La gente allunga volentieri anche banconote. Ma il lavoro negli uffici e in quasi tutti i luoghi pubblici resta proibito.

Maryani sfila da un ripostiglio un album di fotografie, ormai tutte ingiallite. Sono i suoi due matrimoni: nonostante siano stati celebrati senza ufficialità legale, ci si ritrova tutto lo sfarzo delle cerimonie tradizionali giavanesi. Vestiti d’oro e d’argento, capigliature cotonate e uno spesso cerone bianco sulle guance.

“Ma ogni waria sa che nessun uomo è disposto a passare il resto della propria vita con una di noi”, sorride rassegnata Maryani. Sia il primo che il secondo marito che le sono stati vicino per un po’ di tempo hanno poi trovato una donna con cui avere figli.

Succede così, sempre. Irma, sua amica di lunga data, annuisce. Anche lei aspetta il suo turno per raccontare la sua storia.

Anche lei frequenta gli incontri alla scuola e assieme a una ventina di altri travestiti si trova qui ogni settimana per pregare e imparare a leggere il libro sacro.

“Ma durante il Ramadan ci incontriamo tutti i giorni”, puntualizza. Gli incontri durano dalle cinque del pomeriggio fino alla preghiera del mattino.

Poi Irma ritorna al suo warung, un ristorante di strada, dove cucina e vende pollo fritto. Anche lei si traveste da più di 20 anni, e anche lei è riuscita a mantenere un buon rapporto con la madre.

Vivono ancora insieme in un quartiere non lontano dalla scuola per transessuali, incastrata in una viuzza del Kampung Notoyudan. In un quartiere di periferia, dentro due stanze si studia e si prega. Qui, al riparo e fieri, i waria indonesiani si rifugiano in una fede certa.

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