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Israele minaccia di arrestare 42mila “migranti illegali” africani se non lasceranno il paese

Immagine di copertina
Credit: Afp

Il governo di Netanyahu vuole allontanare dal paese 42mila migranti, ritenendoli una minaccia al tessuto sociale. Proteste a Tel Aviv contro il piano di espulsione

Da alcuni mesi in Israele è scoppiato un caso che riguarda il piano di espulsione di quasi 42mila “migranti illegali” africani che secondo il governo dovranno lasciare il paese per andare nel loro stato di origine o in paesi terzi.

S&D

Dopo che a gennaio il governo di Netanyahu aveva comunicato agli immigrati che avrebbero dovuto lasciare Israele entro 60 giorni, l’Alta Corte di Giustizia ha bloccato l’attuazione del piano , dicendo che la segretezza al riguardo mette a rischio la sicurezza degli immigrati.

Il governo di Tel Aviv aveva tempo fino a lunedì 26 marzo per fornire ulteriori informazioni in merito, ma ieri ha chiesto una proroga di due settimane per rispondere alla Corte.

La legge è stata proposta dal governo di Netanyahu a gennaio 2018 e assegna a chi accetta di lasciare il Paese un assegno di 3.500 dollari e un biglietto aereo.

Chi rifiuta rischia invece la detenzione a tempo indeterminato.

“Colore che sono riconosciuti come vittime di schiavitù o di traffico di esseri umani, e coloro che hanno presentato richiesta di asilo entro la fine di gennaio 2017 ma non hanno ottenuto risposta” dovranno lasciare Israele, riporta il quotidiano israeliano Haaretz.

La procedura prevede che siano allontanati dal paese tutti gli immigrati che il governo definisce “infiltrati” provenienti dagli Stati confinanti, come l’Egitto.

Per Netanyahu la loro presenza è  una minaccia per il tessuto sociale israeliano.

Tuttavia non è chiaro quali siano i paesi terzi verso cui saranno trasferiti.

Secondo indiscrezioni, Israele avrebbe stretto accordi con Uganda e Rwanda, ma non si hanno ancora conferme ufficiali.

“La politica israeliana di espellere richiedenti asilo provenienti dall’Africa verso due non specificati paesi africani è un’abdicazione alle responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo e un tipico esempio di quelle misure crudeli che stanno alimentando la crisi globale dei rifugiati”, ha scritto l’ong per i diritti umani Amnesty International.

Questo tipo di accordi inoltre viola il diritto internazionale.

Secondo il principio del non-refoulement (non-respingimento) è illegale trasferire o espellere un rifugiato verso territori in cui la sua vita o le sue libertà sarebbero minacciate. Questo divieto si applica anche a chi non è stato riconosciuto come rifugiato o non ha fatto richiesta per avere tale riconoscimento.

I richiedenti asilo “rischiano di essere rimandati nel paese di origine e non possono ricorrere contro Israele o il paese terzo ricevente” anche a causa della segretezza degli accordi, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche di Amnesty International sul Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Il piano è stato criticato anche dai sopravvissuti della Shoah.

Intanto sabato 24 marzo 200mila persone, sia israeliani che immigrati, hanno protestato per le strada di Tel Aviv contro il piano di espulsione.

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