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Iran, il racconto dei manifestanti torturati: “Ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda”

Immagine di copertina
Alcune foto degli iraniani uccisi durante le proteste, collocate di fronte alla sede del Congresso degli Stati Uniti, a Washington. Credit: Stephen Shaver/ZUMA Press Wire

Iran, il racconto dei manifestanti torturati: “Ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda”

Arrestato perché sosteneva gli studenti nelle proteste “contro il dittatore Khamenei”.  Poi caricato su una macchina e portato in un luogo segreto dove è stato torturato e costretto a subire e infliggere violenze su altri prigionieri. È quanto accaduto a un tassista di 42 anni, che ha raccontato a Il Corriere della Sera la sua esperienza nelle carceri iraniane, a tre mesi dall’inizio delle proteste contro il regime teocratico di Teheran. “Si comportano meglio con gli animali che con noi”, ha detto l’uomo, membro dei Mojahedin del popolo iraniano (Mojahedin-e-Khalq o Mek), nemici giurati degli ayatollah. Un dettaglio di cui i suoi carcerieri non erano a conoscenza: “se avessero saputo la mia visione politica mi avrebbero ucciso”.

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“Ci portavano in una stanza e ci riempivano di botte, ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda. Sul soffitto, una telecamera che riprendeva tutto”, ha raccontato il 42enne, arrestato a fine ottobre nella città centrale di Isfahan, parlando di “un uomo molto alto, con un passamontagna” il quale “non faceva che insultarci e picchiarci”. “Ci torturavano, sentivamo urlare gli altri dalle celle vicine. Li stupravano”, ha aggiunto, raccontando di aver tentato con gli altri detenuti di ribellarsi alle violenze degli agenti, finendo per subire pestaggi ancora più duri. “Ci hanno privato della dignità”.

Una giovane di 23 anni ha invece raccontato al quotidiano milanese di aver subito in carcere un tentativo di “lavaggio del cervello”. “Mi ripetevano: ‘Hai rovinato la tua vita, perché manifesti?”, ha detto la ragazza, raccontando che la istigavano al suicidio. “Gli aguzzini convincevano i detenuti ordinari a maltrattarci. Mi imbottivano di pillole. Ero obbligata a ingoiarle, loro aspettavano che deglutissi. Se mi rifiutavo, la destinazione era la cella d’isolamento”.

Secondo Amnesty International lo stupro è utilizzato dalle forze di sicurezza iraniane nella repressione e nella tortura dei dissidenti, assieme a pestaggi, isolamento, waterboarding ed elettroshock. Dall’inizio delle proteste scoppiate in tutto il paese dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, hanno perso la vita più di 500 manifestanti e almeno 60 membri delle forze di sicurezza, secondo il bilancio di Hrana, un’agenzia gestita da una ong. Sono due i manifestanti finora giustiziati dal regime iraniano, mentre secondo Amnesty altre 26 persone rischiano l’esecuzione.

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