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Home » Esteri

Elena Basile a TPI: “La tregua in Ucraina è ancora possibile”

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

“Il ritorno di Trump porrebbe fine agli scontri. Poi servirà un’altra conferenza di Helsinki e un accordo tra Usa, Russia e Cina. La Nato non deve morire. Ma l’Ue deve costruire una sua difesa”. L’ex ambasciatrice in Belgio e Svezia spiega a TPI come rilanciare il dialogo

A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, esistono le condizioni per la pace?
«Le condizioni per una mediazione tra interessi contrastanti ci sono sempre, se c’è la volontà politica. Ricordo che, come è ormai storia purtroppo ancora non riconosciuta dall’Occidente, la mediazione era stata raggiunta dopo un mese di guerra tra la delegazione russa e quella ucraina. L’allora primo ministro britannico Boris Johnson comunicò al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che gli anglo-americani desideravano che la guerra continuasse e purtroppo la classe dirigente ucraina ha svenduto il Paese agli interessi di Washington».

S&D

Johnson ha smentito questa ricostruzione ma oggi quali possono essere i termini, se non per la pace, almeno per un cessate il fuoco?
«Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha dichiarato che Mosca è pronta a un negoziato in buona fede in cui gli interessi del Paese siano tenuti in conto e anche la situazione raggiunta sul campo dopo due anni di guerra. La concessione della neutralità all’Ucraina in cambio di un avvicinamento all’Europa, che non distrugga interamente i legami economici tra Kiev e Mosca. Più problematico sarebbe un negoziato sui territori. A marzo del 2022 sarebbe stato tutto più facile. Ora bisognerebbe tener conto che la situazione sul campo è vantaggiosa per Mosca. Riconoscere la Crimea russa e negoziare per quanto possibile sul Donbass».

Chi potrebbe mediare la tregua?
«Esclusa l’Europa asservita a Washington, i mediatori erano Turchia e Israele che ormai sono fuori gioco vista la situazione in Medio Oriente. Nulla dipende tuttavia da un mediatore. Tutto dipende dalla volontà statunitense e russo-cinese dall’altra».

È immaginabile, nel contesto attuale, una riedizione degli Accordi di Helsinki del 1975?
«Nell’interesse dell’Europa una nuova Helsinki sarebbe essenziale per stabilizzare la frontiera orientale dell’Europa. La Russia è un grande vicino geo-politico con cui la cooperazione economica, energetica e politica è essenziale per la sicurezza e il benessere dei popoli europei. Purtroppo gli Stati Uniti e la lega anseatica (nordici, baltici, Polonia, essenzialmente) non sono di questa opinione per cause storiche comprensibili. Per Washington dividere Mosca dall’Europa è un obiettivo geopolitico perseguito nei decenni».

Dovremmo coinvolgere anche la Cina?
«In una architettura di sicurezza comune dell’Europa, la Cina credo abbia poco a che vedere».

E per quanto riguarda l’adesione di Kiev?
«L’eventuale ingresso dell’Ucraina in Europa minerà, qualora fosse ancora in vita, il progetto di integrazione europeo come è stato concepito dai federalisti».

Ma il riconoscimento delle annessioni russe non rischia di costituire un pericoloso precedente in violazione dell’ordine e del diritto internazionale e di provocare altre guerre?
«Al netto della propaganda occidentale, non mi sembra che l’ordine sia stato scalfito solo dall’aggressione russa all’Ucraina in risposta all’espansionismo strategico della Nato. Sono decenni che il diritto internazionale è violato dalle guerre di esportazione della democrazia, dai sabotaggi e dalle destabilizzazioni di intere regioni del mondo da parte della Cia. Del resto non mi sembra che Israele stia rispettando il diritto internazionale e umanitario a Gaza. Non che cinesi, russi, indiani, BRICS e il Sud globale siano angeli ma credo che, per interesse, la Cina e persino la Russia parlino oggi il linguaggio della stabilità. La Russia non ha alcun interesse ad aggredire un Paese della Nato. Sarebbe suicida. Mosca ha risposto a un espansionismo aggressivo occidentale, a una guerra economica e a un mal celato tentativo di regime change».

Che effetto ha la “variabile Trump” sul conflitto?
«La eventuale vittoria di Trump, politico spregiudicato molto lontano dai valori che mi appartengono, avrà conseguenze positive. Certamente la guerra in Europa avrà termine. L’Europa obbedirà alle nuove indicazioni che arriveranno da Washington. Le sanzioni economiche hanno fatto male soprattutto all’Europa. La Russia ha dimostrato di non essere isolata. Purtroppo i democratici e il loro servitore (il segretario generale della Nato, Jens) Stoltenberg credo stiano posticipando negli anni l’obiettivo dell’erosione del potere russo con una guerra a bassa intensità. Diminuita la potenza russa, la hybris occidentale potrà dedicarsi alla Cina». 

L’ex presidente Usa ha, di fatto, messo in discussione l’Alleanza. Ha ancora senso la Nato? E che interesse avrebbe l’Italia ad aderire a un esercito europeo?
«Non sono d’accordo con chi perora l’uscita dalla Nato. Il ripiegamento dell’Italia, il nazionalismo, il rischio di un modello autarchico mi spaventano. Diverso sarebbe se, grazie a Trump, l’Europa ritrovasse i propri interessi geo-strategici e costruisse un’Europa della difesa. L’Europa è una parola vuota oggi, dominata dalle élite neo-liberiste e falsamente liberali, asservite agli interessi  atlantici. Un’Europa continentale e mediterranea, con una classe dirigente differente, socialdemocratica e liberale, potrebbe forse ritrovare il cammino verso quegli ideali di pace e di riforma della burocrazia, per una maggiore integrazione, politiche economiche solidali, investimenti nei beni comuni, valori umanistici privi di doppi standard e soprattutto perseguire gli interessi geopolitici dei popoli europei».

Un’ultima domanda: vuole aggiungere qualcosa sulle sue dichiarazioni riguardo la senatrice Segre e di cui si è già scusata?
«Stimo la Senatrice e mi sono rivolta a lei per la sua statura morale, il suo umanesimo e affinché abbia maggiore influenza per la mediazione e la pace in Medio Oriente, semmai con riferimenti più precisi e contestualizzati. Il tono e il riferimento a logiche neo-naziste era rivolto ai doppi standard della stampa, che riporta ad esempio gli attacchi a Rafah insistendo sulla liberazione degli ostaggi  e non sul massacro di innocenti. Ripensando a come le mie parole potevano essere male interpretate ho compreso che il paragone era terribilmente inappropriato data la tragica esperienza di vita della Senatrice e non mi sono perdonata di avere potuto ferire una bella persona e di un’età veneranda. Le ho chiesto scusa sinceramente».

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