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Terremoto politico in Francia: cade il Governo Bayrou. Ecco cosa può succedere adesso

Immagine di copertina
In alto Bayrou e Macron, in basso Melenchon e Le Pen. Credit: AGF

L'esecutivo centrista sfiduciato con 364 voti dall'Assemblea legislativa: è la quarta crisi politica in meno di due anni. Destra e sinistra chiedono le dimissioni di Macron. Ma il presidente va avanti. Sul tavolo ora ha due opzioni

In Francia il governo guidato dal primo ministro centrista François Bayrou è caduto. L’esecutivo è stato sfiduciato dall’Assemblea Nazionale, ieri, lunedì 8 settembre, con 364 voti contrari a fronte di 194 favorevoli. Si apre così la quarta crisi di governo in meno di due anni: un vero e proprio terremoto politico.

Nella storia della Quinta Repubblica francese mai era successo che un esecutivo cadesse su un voto di fiducia chiesto dallo stesso premier. Era stato lo stesso Bayrou, infatti, lo scorso 25 agosto ad annunciare la convocazione dei deputati nel disperato tentativo di blindare la contestatissima legge finanziaria elaborata dal suo governo. E il tentativo, come evidente, non è riuscito.

Il primo ministro uscente – oggi è previsto che rassegni le dimissioni – aveva presentato un progetto di legge di bilancio con 44 miliardi di euro di tagli, che aboliva due giorni festivi e confermava l’odiata riforma delle pensioni. Un piano “lacrime e sangue” dovuto alla difficile situazione dei conti pubblici francesi, gravati da un debito pubblico salito al 114% del Pil (nel 2019 era al 98%) e da un deficit che sfiora il 6% del Pil.

“La Francia non presenta un bilancio in equilibrio da 51 anni”, ha ricordato Bayrou nel suo apocalittico discorso all’Assemblea: “Potete far cadere il governo ma non potete cancellare la realtà”.

Il centrista, 74 anni, era in carica dallo scorso dicembre. Era succeduto al repubblicano Michel Barnier, sfiduciato dopo sole otto settimane di governo anche lui a causa delle contestazioni alla sua legge di bilancio (Bayrou è poi riuscito a farla approvare a febbraio, ma solo dopo averla parzialmente modificata). Barnier era stato nominato dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron nel settembre 2024 dopo le elezioni legislative convocate in via anticipata in seguito alle europee, stravinte dalla destra estrema di Marine Le Pen. Era così decaduto Gabriel Attal, in carica da appena otto mesi. Al voto per eleggere il nuovo Parlamento aveva prevalso il Nuovo Fronte Popolare,  coalizione di sinistra guidata Jean-Luc Mélenchon, ma Macron aveva comunque optato per nominare un primo ministro di area moderata e quindi più vicino alle sue posizioni.

Ieri, nelle dichiarazioni di voto all’Assemblea legislativa, destra e sinistra, oltre a sfiduciare Bayrou, hanno invocato anche le dimissioni del presidente della Repubblica. “In prima linea c’è Macron davanti al popolo. E anche lui deve andare a casa”, ha detto Mélenchon, leader di La France Insoumise”.

Il capo dell’Eliseo, tuttavia, non sembra affatto intenzionato a finire in anticipo il proprio secondo mandato presidenziale, in scadenza nella primavera del 2027: Macron ha fatto sapere che nominerà il nuovo primo ministro “nei prossimi giorni”, dopo aver trattato con tutti i partiti.

Tra i possibili interlocutori spiccano i socialisti, che per mesi – con la loro non-sfiducia – avevano consentito a Bayrou di restare in piedi con un governo di minoranza. Nel voto di ieri, invece, i deputati del Ps hanno deciso di fatto di staccare la spina all’esecutivo. “Siamo pronti al governo, il presidente venga da noi”, ha detto in aula il capogruppo Boris Vallaud. I socialisti insistono nel dire di puntare a un governo di sinistra, senza il coinvolgimento dei centristi macroniani, ma l’ala “gauche” non ha i numeri.

I Républicains sono spaccati: solo 27 deputati su 49 hanno votato la fiducia a Bayrou. Ma il partito di centrodestra avverte: “Noi sempre all’opposizione con un governo di gauche”.

La palla, dunque, è nelle mani del presidente della Repubblica, che ha davanti due opzioni: sciogliere le Camere e indire nuove elezioni oppure nominare un nuovo primo ministro confidando che questi possa guadagnarsi la fiducia del Parlamento.

Tutti gli indizi portano a questa seconda opzione. L’ex premier Gabriel Attal, leader del partito macroniano Renaissance, ha fatto sapere che, prima ancora di un premier, ha chiesto a Macron la nomina di un “negoziatore” per arrivare a un “accordo di interesse generale” tra “le forze repubblicane”, affinché “i diciotto mesi che abbiamo davanti siano utili e non siano quelli dei blocchi a ripetizione e dell’impotenza pubblica”.

Tra nomi che circolano come possibile nuovo premier incaricato, spiccano quelli di Sébastien Lecornu, ministro della Difesa uscente, Gérald Darmanin, ministro della Giustizia, e Xavier Bertrand, presidente del Consiglio regionale dell’Alta Francia.

Il Paese, intanto, si prepara all’imponente manifestazione di protesta indetta per domani, mercoledì 10 settembre, sotto lo slogan “Blocchiamo tutto”: la mobilitazione è nata dal basso, principalmente sui social network, e c’è già chi parla dei “nuovi gilet gialli”. Il Ministero dell’Interno ha previsto uno schieramento di con 80mila agenti che “non tollereranno nessun blocco”.

Alla fine della settimana, inoltre, potrebbe arrivare una nuova mazzata per la Francia, quando l’agenzia di rating newyorkese Fitch renderà nota la nuova pagella sui conti pubblici di Parigi: il downgrade è ritenuto probabile.

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