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La lezione polacca ridimensiona la destra nell’Ue (di G. Gramaglia)

Immagine di copertina
Credit: AGF

Dopo la Spagna, anche la Polonia promuove gli europeisti a scapito dei sovranisti. Ma i precedenti in Slovacchia e alle regionali in Germania lasciano ancora aperta la partita. E a novembre tocca ai Paesi Bassi esprimersi. La sfida per la nuova Europa è appena iniziata

La (ir)resistibile avanzata di sovranisti e populisti verso le elezioni europee del giugno 2024 subisce una seconda battuta d’arresto in Polonia, a meno di tre mesi dalla prima in Spagna. E, questa volta, la botta vale doppio: incide sulle prospettive del voto per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo e modifica i rapporti di forza nel Consiglio dei Ministri dell’Ue, dove l’Italia di Giorgia Meloni perde l’interlocutore politicamente più vicino.

S&D

Dopo la Spagna, anche la Polonia promuove gli europeisti a scapito dei partiti che frenano l’integrazione. I campanelli d’allarme suonano più forte per Meloni, alleata degli sconfitti Vox e PiS, che per Matteo Salvini, le cui connessioni europee non sono scalfite dai risultati spagnolo e polacco.

Un film già visto
Il gruppo dei conservatori nel Parlamento europeo, che fa capo a Fratelli d’Italia e a Meloni, spera – o sperava? – di contare nell’Unione e progettava una maggioranza di centrodestra con il Ppe alternativa all’attuale di centrosinistra (popolari, socialisti, liberali e verdi), mentre il duo xenofobo ed euroscettico Salvini – Marine Le Pen s’accontenta del ruolo di guastafeste, sapendo che l’alleanza con i popolari gli è al momento vietata.

A diversificare ulteriormente gli stati d’animo nella coalizione di centro-destra al governo in Italia, c’è la soddisfazione di Forza Italia per i risultati polacchi, che rafforzano il gruppo dei popolari, dove siedono gli eurodeputati azzurri.

Forse, è il remake di un film già visto. Anche nel 2019, l’ondata sovranista ed euro-scettica doveva rompere gli argini dell’europeismo e invadere le istituzioni comunitarie. E, in effetti, conquistò molti seggi, circa uno su quattro. Ma, divisa al proprio interno e incapace di alleanze significative con altri gruppi, è rimasta per tutta la legislatura fuori dalle stanze dei bottoni, relegata ai margini dei processi decisionali.

Attenzione, però. I segnali, in vista del voto di giugno, non sono univoci: il verdetto in Slovacchia, a fine settembre, andava in senso opposto, con il ritorno in auge dei populisti nazionalisti e filo-russi di Robert Fico; e le consultazioni regionali tedesche del 1 ottobre in Baviera e in Assia segnalano avanzate dell’estrema destra dell’AfD. Altri test ci saranno nelle prossime settimane: i Paesi Bassi vanno alle urne il 22 novembre; la Spagna potrebbe tornarci a metà gennaio, se il socialista Pedro Sanchez non riuscirà a formare un governo entro metà novembre.

Una vittoria “Ursula”
Ma la lettura dei risultati delle elezioni di metà ottobre in Polonia è inequivocabile: una vittoria degli europeisti e dell’Unione europea; una sconfitta dei sovranisti. E se mai ci fosse un dubbio sulla correttezza dell’interpretazione, basterebbe vedere com’è stata accolta la notizia in Ungheria, il Paese che ha spesso tenuto bordone alla Polonia nei negoziati europei: i media governativi sono stati molto reticenti nell’analizzare i risultati; quelli dell’opposizione hanno parlato di «un disastro» per il premier magiaro Viktor Orban, «che perde l’unico alleato e rimane solo a fare la sua politica di ricatti e veti». A Bruxelles c’è chi, nel Parlamento europeo, inizia ad avanzare dubbi sul semestre di presidenza di turno ungherese del Consiglio dei Ministri dell’Ue, nella seconda metà del 2024.

Nei giorni scorsi, il presidente polacco Andrzej Duda, un esponente del partito al potere Diritto e Giustizia (PiS), s’è consultato con gli esponenti di tutti i partiti, per decidere a chi dare in prima battuta l’incarico di formare il governo e quando convocare la seduta d’apertura della nuova legislatura, probabilmente subito dopo l’11 novembre, Festa dell’indipendenza.

Al di là dei minuetti della politica, il leader dell’opposizione europeista Donald Tusk, popolare ed ex presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019, sta già muovendosi da premier: a Bruxelles ha incontrato i leader del Partito popolare europeo. C’è, da parte sua, il desiderio di fare di nuovo giocare alla Polonia il gioco europeo e di dialogare alla pari con i partner e non essere tenuta – o messa – ai margini.

Il voto di Varsavia relega all’opposizione i sovranisti che governano da otto anni. Il partito PiS, Diritto e Giustizia, di Jaroslaw Kaczynski resta primo con il 35,4% voti, in calo di otto punti rispetto al 43,6 del 2019, ma non ha la maggioranza dei seggi in Parlamento: ne ottiene 194, ne perde 29. Non gli basterebbe neppure allearsi con il partito di estrema destra “Confederazione” (7,2%, in lieve crescita, con 18 seggi, sette in più), razzista, omofobo e deciso a tagliare gli aiuti militari all’Ucraina.

Invece, l’alleanza di Tusk, centrista e europeista, “Coalizione Civica”, seconda con il 30,7%, meglio di quanto prevedevano i sondaggi, e 157 seggi, può mettere insieme una maggioranza, accordandosi con l’alleanza di centro-destra a parziale connotazione agricola “Terza Via” – 14,4%, più 5,9%, e 65 seggi, 20 in più – e con l’alleanza di centro-sinistra “La Sinistra” – 8,6% e 26 seggi (in calo del 4% e con 20 seggi in meno). I dati si riferiscono alla Sejm, che è la Camera bassa.

Considerando i seggi, sempre secondo i dati definitivi, i tre movimenti coalizzati sotto la leadership di Tusk dispongono di 248 seggi – 17 in più della soglia di maggioranza -, contro i 212 di PiS e “Confederazione” messi insieme. Le tre forze che sosterranno il nuovo governo polacco hanno riferimenti europei diversi, ma tutti dentro l’attuale maggioranza “Ursula”: la Coalizione di Tusk è popolare, “Terza Via” liberale e “La Sinistra” socialista.

Il figliol prodigo
Le reazioni da Strasburgo al voto polacco rispecchiano questa coralità di gruppi e voci. I popolari, che alla vigilia delle elezioni avevano escluso un’eventuale collaborazione con i conservatori, dicono: «La maggioranza dei polacchi ha votato per il cambiamento… Vogliono una Polonia forte, stabile e orientata al futuro dentro l’Ue… I polacchi hanno scelto lo stato di diritto, tribunali e media liberi, un esercito apolitico e la democrazia. Hanno scelto l’Europa». I liberali di Renew la vedono allo stesso modo: «In Polonia emerge una maggioranza europeista con popolari, centristi e sinistra». E i socialisti europei parlano di vittoria della democrazia e dell’Europa

Secondo Anne Applebaum, giornalista e storica polacco-americana, intervistata da Politico, Tusk avrà un compito più difficile in patria che nell’Unione, dove la sua Polonia sarà ben accolta come un figliol prodigo: dovrà ristabilire il rispetto dello stato di diritto e “depoliticizzare” le istituzioni e la magistratura, dopo otto anni «di regime anti-democratico».

I polacchi si sono dimostrati consapevoli dell’importanza della posta in palio nelle loro elezioni: circa 29 milioni di elettori erano chiamati alle urne, in un Paese grande quanto l’Italia, con poco più di 38 milioni di abitanti. L’affluenza alle urne è stata nettamente superiore al 2019, quando s’attestò al 61,7%, la più alta dopo il 62,7% delle prime elezioni democratiche del 1989. Record ora battuto, con una partecipazione intorno al 73%, in quella che è stata la tornata elettorale 2023 politicamente più significativa per l’Ue.

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