Tutto quello che c’è da sapere sulle violenze contro gli Oromo in Etiopia, di cui nessuno parla
Negli ultimi nove mesi le manifestazioni e gli scontri con la polizia si sono acuiti, tra proteste soffocate nel sangue e continue violazioni dei diritti umani.
A poche settimane dalla fine dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, gli effetti del gesto di protesta compiuto dal maratoneta etiope Feyisa Lilesa non si attenuano. Forse non tutti coloro che avevano seguito in diretta TV le sue imprese podistiche avevano visto quel gesto plateale compiuto in mondovisione – mentre si apprestava a superare il traguardo finale – né tanto meno avevano colto la reale portata di quest’ultimo.
Sudato e affaticato dopo la gara, Lilesa aveva alzato le braccia incrociando i polsi e mimando un ammanettamento. Lo ha fatto al traguardo, nel momento di massima visibilità in modo che non passasse inosservato.
Pochi hanno colto il senso celato dietro quel gesto di protesta, lo stesso compiuto negli ultimi mesi dai suoi concittadini, appartenenti alla sua stessa etnia, gli Oromo.
Così Lilesa ha portato sotto i riflettori di una competizione sportiva internazionale la questione che affligge il suo popolo, e che negli ultimi mesi ha raggiunto picchi di violenza inaudita.
Ma chi sono gli Oromo e perché stanno protestando?
Sulla carta geografica, la regione di Oromia è considerata la più grande dell’Etiopia. Circonda la capitale etiope, Addis Abeba e dà il nome al più grande gruppo etnico dell’Etiopia, ossia gli Oromo. Questi costituiscono grossomodo un terzo della popolazione etiope (pari a circa 24 milioni di persone) e sono il più grande gruppo etnico africano degli 80 presenti nel paese.
Essi hanno un partito che li rappresenta – il Congresso federalista Oromo – il più grande partito politico legalmente registrato dell’Oromia, che non detiene tuttavia nessun seggio in Parlamento.
Dal novembre 2015, l’Etiopia ha vissuto sulla sua pelle una terza ondata di disordini che hanno sconvolto l’intera regione di Oromia. Inizialmente, le proteste erano scoppiate in risposta all’attuazione di un piano da parte del governo centrale, volto a espandere il confine amministrativo della capitale, Addis Abeba.
Tuttavia, questo piano venne accantonato nel mese di gennaio per intercessione del partito che governa la regione di Oromia, ossia l’Organizzazione democratica degli Oromo, che fa parte della coalizione di governo dell’Etiopia. Ma le proteste non sembrarono attenuarsi.
Molti analisti hanno ritenuto che dietro queste manifestazioni non ci fosse solo una rivendicazione di identità etnica, né ci fosse solo l’intento di rimarginare ferite del passato storico che hanno segnato questa popolazione (per esempio, la soppressione della lingua oromo avvenuta 20 anni fa).
A ciò si sono sommate questioni più profonde, come il senso di frustrazione per l’intento del governo di sottrarre le loro terre, per la corruzione dilagante, per l’emarginazione economica e sociale sempre più evidente.
Negli ultimi dieci mesi, il numero delle vittime causate da frequenti scontri fra manifestanti e forze di sicurezza, secondo quanto riportato dalle organizzazioni per i diritti umani e da numerosi attivisti, si attesta fra gli 80 e i 250 morti.
(Qui alcuni manifestanti incrociano le braccia in segno di protesta. Credit Reuters – Il pezzo prosegue sotto)
Ma il governo centrale di Addis Abeba ha sempre respinto le accuse bollandole come delle esagerazioni. Per quanto riguarda un recente rapporto sulla situazione in Etiopia stilato da Human Rights Watch, il governo etiope ha risposto così: “si tratta di una menzogna assoluta”.
Il portavoce del governo, Getachew Reda ha dichiarato che i cittadini etiopi avevano tutto il diritto di mettere in discussione il piano di espansione, ma le proteste pacifiche si sono poi trasformate in incitamento alla violenza da parte di alcuni gruppi facinorosi. Il funzionario ha poi sottolineato come in questi mesi, le forze di sicurezza hanno dovuto affrontare “bande armate organizzate” che hanno “bruciato edifici appartenenti a privati cittadini, insieme a installazioni governative”.
Altri analisti hanno replicato che non è escluso ci possano essere delle fazioni radicali che approfittano della situazione caotica, ma non si può certamente affermare che da eventi isolati sia nato un movimento organizzato.
Il governo centrale etiope continua a smorzare e ridimensionare la portata delle proteste, accusando gruppi faziosi e d’opposizione stranieri di manipolare i fatti e di utilizzare i social media per amplificare ciò che sta accadendo dentro i confini nazionali.
I diritti umani violati degli Oromo
Diversi gruppi di attivisti Oromo chiedono anche il rispetto dei diritti umani nel paese, invocano la giustizia per le persone uccise durante le proteste e la liberazione di tutti i manifestanti arrestati e incarcerati. Secondo l‘ultimo rapporto pubblicato da Human Rights Watch, più di 500 persone sono state uccise nel corso delle proteste, anche se il governo non ha confermato queste cifre.
Le ultime proteste in ordine di tempo scoppiate nella regione di Oromia risalgono al 6 e al 7 agosto scorso. Centinaia le persone uccise nelle manifestazioni di strada non autorizzate.
Per evitare il diffondersi di notizie o di immagini, le autorità governative hanno imposto il blocco della rete Internet per 48 ore. Ma il rapporto dell’organizzazione non governativa – attraverso le testimonianze di centinaia di persone – mostrano un quadro diverso. In primo luogo, numerose le accuse rivolte contro la polizia e l’esercito per un uso eccessivo della forza.
Non solo. Secondo molti testimoni diretti, non sono mancate le torture. Alcuni hanno raccontato di essere stati appesi per le caviglie e aver subito violenze fisiche, altri invece hanno ricevuto scosse elettriche. Tra le persone fermate e incarcerate anche molte donne, le quali hanno raccontato di aver subito molestie e violenze. Ci sono poi centinaia di manifestanti di cui non si hanno più notizie e della cui sorte non è noto al momento nulla.
(Qui un video delle proteste)