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Home » Esteri

L’accordo tra Unione europea e Turchia violerà i diritti umani?

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L'intervista di Laura Stahnke per Tpi a Judith Sunderland, l’associate director di Human Rights Watch per Europa e Asia Centrale.

Da ieri domenica 20 marzo è entrato in vigore il nuovo accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia al fine di limitare l’ingresso dei migranti in Europa e chiudere la rotta balcanica attraverso la quale sono passate circa un milione di persone a partire dal 2015.

In particolare, uno dei punti entrati in vigore tramite questo trattato prevede che i migranti che entreranno in Grecia senza documenti verranno automaticamente rispediti in Turchia. Ciò darà adito a molte problematiche ed elementi che potranno facilmente portare ad una violazione dei diritti umani. Ce ne parla in un’intervista in esclusiva con TPI Judith Sunderland, l’associate director di Human Rights Watch per Europa e Asia Centrale.

 “Le preoccupazioni legate a questo nuovo accordo sono principalmente due: da una parte la Turchia – che non ha ratificato la convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e non è quindi tenuta ad offrire accoglienza e protezione umanitaria ai richiedenti asilo – è stata molto generosa con i profughi siriani, ma solo con loro: tutte le altre nazionalità non hanno la possibilità di ricevere protezione umanitaria al pari dei siriani”. Questo succede in un contesto in cui una parte dei rifugiati in arrivo in Europa attraverso la Turchia sono curdi e in pesante conflitto con Ankara. È quindi difficilmente dimostrabile che la Turchia potrebbe essere un territorio sicuro per i profughi curdi in fuga dall’ISIS.

Inoltre la Turchia ha dimostrato che è capace e ha la volontà di respingere i siriani alla frontiera e di espellere sia siriani che iracheni verso il loro paese di origine, infrangendo quindi il principio di non-refoulement”. Questo principio prevede che ai richiedenti asilo venga lasciata libertà di ingresso e che non vengano rimpatriati prima che la loro condizione sia stata presa in esame, stabilendo che non corrono rischi a rientrare nel proprio paese d’origine.

In Turchia non c’è una protezione effettiva dello stato di rifugiato ed Ankara ha apertamente violato il principio di non-refoulement. È quindi evidente che la Turchia non è un paese in grado di offrire protezione umanitaria come stabilito nel diritto internazionale.

Vi è inoltre un altro tipo di preoccupazione, aggiunge Judith Sunderland: “l’Unione Europea, in seguito all’approvazione di questo accordo, possa chiudere un occhio sulla situazione dei diritti umani in generale in Turchia”. Questo è infatti un paese in cui è attualmente in corso un forte giro di vite contro i media indipendenti e critici del governo e dove da tempo sono state registrate evidenti violazioni dei diritti umani verso la popolazione curda.

“La Turchia è il paese che ospita più rifugiati al mondo, sovraccaricarlo di responsabilità è inaccettabile e a lungo termine può portare alla destabilizzazione di un paese molto vicino all’Unione Europea”. 

Anziché trovare nuovi modi per limitare l’ingresso dei migranti, l’Europa si dovrebbe impegnare ad elaborare una strategia condivisa per gestire il flusso di persone in arrivo, dividendo le responsabilità tra i 28 paesi dell’Unione.

Secondo Judith Sunderland, un piano di gestione dei migranti a livello europeo dovrebbe prendere in considerazione diversi aspetti fondamentali. Prima di tutto si devono creare canali di arrivo sicuri per limitare il numero di morti nel Mediterraneo. Attraverso questi canali, i richiedenti asilo dovrebbero essere distribuiti equamente all’interno dell’Unione Europea, e ogni paese si dovrebbe fare carico della gestione di una parte dei rifugiati in arrivo in Europa. Per quando possibile, questa distribuzione dovrebbe prendere in considerazione i bisogni dei rifugiati e l’esistenza di comunità nazionali all’interno dei singoli paesi dell’Unione; infine, si dovrebbe assicurare che i singoli paesi svolgano le procedure necessarie in accordo con il diritto internazionale.

Ciò che invece sta accadendo in Europa è proprio il contrario. Nessuno si vuole assumere le responsabilità a cui legalmente i paesi europei sono tenuti a rispondere, e tutti cercano di scaricare sulle nazioni di primo arrivo, come Grecia, Italia e ora Turchia, la responsabilità della gestione di centinaia di migliaia di persone.

Chiudere le frontiere però non porterà a un calo degli ingressi. “Con la chiusura della rotta balcanica le persone cercheranno di trovare altre rotte”, dice Judith Sunderland. Le previsioni sono infatti che, con l’arrivo del bel tempo, centinaia di migliaia di persone attraverseranno il Mediterraneo partendo da Egitto e Libia per raggiungere le coste italiane. 

Inoltre, una rotta che probabilmente verrà sfruttata coinvolgerà l’Albania, come già accadde negli anni ’90 e 2000 quando migliaia di albanesi si misero in mare per raggiungere le coste italiane. “Appena una rotta si chiude se ne apre un’altra: ciò è dovuto alla furbizia degli scafisti e soprattutto al bisogno e alla determinazione delle persone stesse di continuare il proprio viaggio verso dove sperano di trovare un posto sicuro”, conclude l’associate director di Human Rights Watch per Europa e Asia Centrale.

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