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Home » Economia

In Italia stipendi da fame, ma il Governo Draghi-Confindustria dice No al salario minimo

Immagine di copertina
Credit: ansa foto

In Europa quasi tutti i Paesi fissano per legge il livello base degli stipendi: l'Italia no. Abbiamo buste paga fra le più basse dell'occidente, ma al governo Draghi-Confindustria va bene così

Lo scorso 24 giugno il presidente degli Stati Uniti Joe Biden stava tenendo una conferenza stampa alla Casa Bianca sulla situazione economica americana. “Mi dicono che gli imprenditori si lamentano perché non trovano lavoratori da assumere”, ha riferito. Poi, con perfetto tempo comico, ha fatto una pausa: si è chinato sul microfono e, sottovoce, come se stesse rivelando una scoperta geniale da tenere segreta, ha suggerito la sua possibile soluzione: “Pay them more”. Ovvero: “Pagateli di più”. Biden a febbraio aveva provato a raddoppiare il salario minimo federale da 7 a 15 dollari l’ora, ma il Senato a guida repubblicana si è opposto. È bizzarro che il leader del Paese culla del capitalismo indichi nell’aumento degli stipendi la via da seguire. Nell’Unione europea 21 Paesi su 27 hanno fissato un salario minimo di legge: l’Italia non è fra questi. La misura era prevista nel Recovery Plan ma è stata misteriosamente cancellata poche ore prima dell’approdo del testo in Parlamento.

“Sparita come per magia”, chiosa il deputato Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, che sui social ha denunciato la sbianchettatura con tanto di screenshot del documento prima e dopo la modifica. Cos’è successo? “Non so, nessuno mi ha dato spiegazioni. Di certo però questo governo pende a favore di Confindustria”. Viale dell’Astronomia è contraria al salario minimo, che aumenterebbe i costi per le imprese. Ma anche i sindacati dei lavoratori frenano: Cgil, Cisl e Uil vogliono che continui a essere la contrattazione collettiva a definire i minimi retributivi. “E sbagliano”, sentenzia Fratoianni. “Lo sfruttamento del lavoro ha raggiunto livelli immorali nel nostro Paese: il salario minimo legale è una urgenza assoluta”. I numeri, in effetti, sono inquietanti. Nella classifica delle buste paga l’Italia è al nono posto nell’Eurozona: dietro di noi ci sono solo i Paesi dell’est – che applicano dumping salariale – Spagna, Grecia e Portogallo. Nell’area Ocse siamo addirittura 23esimi su 36. L’Inps calcola quattro milioni e mezzo di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora: e di questi, due milioni e mezzo sono sotto la soglia degli 8 euro.

Più difficile fare statistiche precise sul popolo semi-sommerso degli sfruttati a 3 o 4 euro l’ora, dai rider che fanno le consegne a domicilio ai facchini impiegati nella giungla della logistica. Malgrado questo scenario, il tema del salario minimo legale non si è mai imposto sull’agenda della politica. “Nulla di cui stupirsi, siamo un Paese profondamente conservatore nelle sue classi dirigenti”, osserva Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione territoriale col Governo Monti, oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità (che ha inserito il salario minimo fra le sue 15 proposte per la giustizia sociale). Qualcosa, peraltro, inizia a muoversi nel dibattito pubblico. In particolare dopo alcune recenti prese di posizione a favore della misura, dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico ai leader di M5S e Pd, Conte e Letta. Addirittura il segretario della Cgil Maurizio Landini ha concesso per la prima volta un’apertura: “Ok il salario minimo purché collegato a una legge sulla rappresentanza”. Il riferimento è a quella norma attesa da decenni che dovrebbe dare attuazione all’articolo 39 della Costituzione sulla registrazione dei sindacati. In mancanza di una legge, oggi qualsiasi associazione di lavoratori, anche la più spregiudicata, ha il potere di firmare un contratto collettivo: con il risultato che si moltiplicano gli accordi “pirata” al ribasso.

Secondo Barca, le due cose – salario minimo legale e contrattazione collettiva condotta dai sindacati più rappresentativi – possono e devono coesistere. Ma, avverte, tutto sarebbe comunque vano senza un “potenziamento delle ispezioni contro le irregolarità”. “Salario minimo, rafforzamento della contrattazione e più controlli: solo se si fanno queste tre cose insieme può esserci un cambiamento”, sostiene l’ex ministro. In Italia il salario minimo è un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Fu inserito sia nell’accordo di governo con la Lega sia in quello con Pd, Renzi e Leu: poi, per motivi diversi, non se n’è mai fatto nulla. Nel maggio scorso l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) ha presentato un disegno di legge che fissa la paga base a 9 euro lordi l’ora. La misura – si apprende da fonti governative – non è nei piani di Draghi. Tuttavia il ministro del Lavoro Andrea Orlando è costretto a occuparsene a Bruxelles, dove si sta discutendo una direttiva che invita gli Stati membri a fissare salari minimi sopra la soglia di povertà: Orlando ha fatto sapere che l’Italia non sarebbe contraria, a condizione però che parallelamente venga rafforzata la contrattazione collettiva e sia regolamentata la rappresentanza sindacale. Salario minimo legale sì, ma solo se ce lo chiede l’Europa.

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