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Home » Economia

Perché la spesa militare si esprime in percentuale al Pil?

Immagine di copertina
Droni missilistici a lungo raggio PekloKiev di produzione ucraina. Credit: Volodymyr Tarasov / Avalon / AGF

L’Italia spende quasi l’1,6% del Prodotto interno lordo per la difesa. Ma cosa significa
e perché la spesa militare
si calcola in percentuale
al PIL?

Chi spende di più?
Cominciamo dai numeri. Le spese militari a livello mondiale sono aumentate per il nono anno consecutivo nel 2023, raggiungendo il record di 2.443 miliardi di dollari (306 per ogni essere umano), un dato pari al 2,4% del Prodotto interno lordo globale.

Secondo i più recenti dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), i 40 Stati con il più elevato bilancio militare nel 2023 sono responsabili del 93% delle spese per la difesa a livello globale. I due Paesi che spendono di più in questo settore, Stati Uniti e Cina, rappresentavano l’anno scorso circa la metà della spesa militare globale. Insieme, i primi 10 erano invece responsabili del 74% del totale mondiale, pari a 1.799 miliardi di dollari.

Ma come è possibile fare il confronto tra chi spende di più e chi meno? Il metodo più semplice è misurare la spesa in termini assoluti. Nel 2023, secondo il SIPRI, gli Usa hanno speso 916 miliardi di dollari nel settore militare, a fronte dei 296 (stimati) della Cina, dei 109 (stimati) della Russia, degli 83,6 dell’India e dei 75,8 (stimati) dell’Arabia Saudita. Tutti insieme questi cinque Paesi rappresentavano l’anno scorso oltre la metà (1.481 miliardi di dollari) della spesa militare globale.

Perché il Pil?
Un simile confronto però non tiene conto di numerose differenze tra gli Stati citati, in primis della dimensione delle diverse economie. Anche se in termini assoluti New Delhi ha stanziato quasi otto miliardi di dollari in più di Riad per il settore militare, il regno arabo in realtà impegna molte più risorse dell’India per la difesa.

Per capirlo basta appunto esprimere il dato sulle spese militari in percentuale al Prodotto interno lordo (PIL), dando un’idea più chiara di quale quota del sistema produttivo di un singolo Paese venga destinata al settore della difesa. Così cambia anche la classifica: secondo le stime del SIPRI infatti l’anno scorso l’Arabia Saudita ha devoluto il 7,1% del proprio Pil al settore militare, a fronte del 5,9% della Russia, del 3,4% degli Usa, del 2,4% dell’India e dell’1,7% della Cina.

Il risultato permette inoltre di evidenziare, al di là del valore assoluto degli stanziamenti finanziari, non solo quanto un Paese già investe nella propria difesa ma quante altre risorse potrebbe ancora impegnare nel settore militare. Un esempio è l’Ucraina. Nel 2013, prima dell’annessione unilaterale della Crimea da parte della Russia e dell’inizio della guerra nel Donbass, Kiev spendeva il 2,4% del Pil per la propria difesa. Otto anni dopo, prima dell’invasione su larga scala ordinata dal Cremlino, il dato era salito al 3,4%, per arrivare al 25,9% nel 2022 e al 36,7% nel 2023.

Un incremento, molto più contenuto, valido anche per la Russia, che nel 2013 spendeva il 3,9% del Pil per la difesa, arrivando l’anno scorso al 5,9%. Come dire che, malgrado i lutti e le difficoltà economiche, Mosca avrebbe ancora molte risorse da impiegare nel settore militare rispetto a Kiev, che spende già più di un terzo della propria ricchezza prodotta ogni anno a livello nazionale per la difesa. Altri indicatori invece offrono informazioni diverse.

La percentuale della spesa pubblica
Le spese militari si possono anche esprimere in percentuale rispetto alla spesa pubblica complessiva. In questo caso la top 5 non cambia rispetto a quella elaborata in base al PIL ma è comunque diversa in confronto a quella stilata con i valori assoluti. Secondo i dati del SIPRI infatti, l’anno scorso l’Arabia Saudita ha destinato il 24% del proprio bilancio pubblico al settore militare, a fronte del 16,1% della Russia, del 9,1% degli Usa, dell’8,1% dell’India e del 5% della Cina. Una percentuale che tradisce le priorità politiche di ciascun governo, in base a quanto sceglie di destinare al settore militare rispetto ad esempio al welfare.

Non sorprende che le classifiche elaborate in base al PIL e alla quota del bilancio pubblico diano lo stesso risultato. La rendicontazione nazionale per i cinque Paesi, secondo le regole del Fondo monetario internazionale (Fmi), è standardizzata. È questo un altro motivo per cui il dato sulle spese militari è espresso preferibilmente in percentuale al Prodotto interno lordo (PIL). Il bilancio per la difesa non viene misurato in modo coerente tra i diversi Stati. Alcuni ad esempio non conteggiano al suo interno i salari e i costi previdenziali delle truppe, altri invece vi inseriscono addirittura una quota degli investimenti infrastrutturali civili, come ad esempio nelle autostrade o nelle ferrovie, considerandoli potenziali contributi bellici in vista dello spostamento di materiale militare. In questo senso invece il PIL consente di standardizzare la lettura del dato.

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Il caso italiano
Ma quanto spende l’Italia in armi e difesa? Secondo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, Roma ha aumentato le spese militari fino all’1,57% del PIL ma dovrà aumentarle ancora. Secondo il SIPRI, l’anno scorso l’Italia ha speso circa 35,53 miliardi di dollari per la difesa, pari a 603,5 per ogni cittadino italiano e al 3% della spesa pubblica.

Secondo l’Osservatorio Mil€x invece, che calcola la spesa militare in maniera diversa rispetto al SIPRI, nel 2025 il nostro Paese investirà la cifra record di 32,023 miliardi di euro per la difesa, in aumento del 12,4% rispetto al 2024 (+3,5 miliardi in un anno) e del 60% rispetto al 2016. Di questi fondi, secondo Mil€x, almeno 12,983 miliardi saranno destinati ad acquistare armi.

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