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Il voltafaccia del Movimento 5 stelle sul Reddito di cittadinanza: come doveva essere e come sarà

Immagine di copertina
L'incontro nella sede di Libera tra Don Ciotti (a sinistra), Beppe Grillo e Luigi Di Maio

Roma. Gennaio 2015. Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Nunzia Catalfo. Nella sede di Libera arrivano i massimi esponenti del Movimento 5 stelle. Ad attenderli il fondatore dell’associazione antimafia, Don Luigi Ciotti, e il responsabile della campagna Miseria Ladra, Giuseppe De Marzo.

Motivo dell’incontro: gettare le basi per l’adesione del Movimento 5 stelle sulla proposta di legge sul reddito minimo garantito. Un’adesione ribadita a gran voce e con massima enfasi dal padre fondatore del M5s che, in un video al fianco di Don Ciotti e poi in un post, spiegò l’importanza di dare all’Italia una vera misura di “contrasto non solo alla povertà, ma anche alle mafie”.

> Reddito di cittadinanza, la scheda completa

(Continua sotto il video)

Da quel momento iniziarono una serie di incontri tra gli esponenti del Movimento e quelli della campagna contro la povertà che portarono, tra maggio e giugno del 2018, 35 senatori e 91 deputati della forza politica oggi al governo a firmare le proposte della piattaforma “Miseria Ladra”.

L’obiettivo comune era quello di dare all’Italia non una semplice misura di sostegno al reddito, ma un “vero reddito”. Minimo. Garantito. Di dignità. Non certo “di cittadinanza”, come quello contenuto nel decreto approvato dal governo il 17 gennaio 2019.

A distanza di cinque anni da quell’incontro, infatti, possiamo parlare chiaramente di voltafaccia. E i motivi sono scritti nero su bianco e assolutamente evidenti leggendo cosa si erano impegnati a fare gli esponenti del Movimento e cosa hanno fatto.

(Continua sotto il video)

La proposta per il reddito “di dignità”, firmata da ben 126 parlamentari del Movimento, non era una promessa elettorale ma l’impegno di sostenere i punti della piattaforma per un reddito individuale (e non “familiare” com’è il reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle) e senza alcun “obbligo” di “integrazione lavorativa”.

Perché, come prevede la Relazione dell’8 aprile 2009 per la Risoluzione europea le politiche sul “coinvolgimento attivo” delle persone escluse dal mercato del lavoro non devono “sostituirsi all’inclusione sociale” e “chiunque deve per disporre di un Reddito Minimo, e di servizi sociali di qualità, a prescindere dalla propria partecipazione al mercato del lavoro”.

Inoltre la durata temporale del beneficio, oggi prevista in un massimo di 18 mesi, era a tempo indeterminato: “Fino al miglioramento della propria condizione economica”.

Ma il vero “voltafaccia” del reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle rispetto agli impegni presi quando era forza di opposizione riguardano la filosofia stessa della misura. Un vero reddito minimo, infatti, non ha l’obiettivo di trovare un lavoro a chi è disoccupato ma di garantire un’esistenza dignitosa a tutte le persone.

Era il 2015 quando il Movimento prese questo impegno con il mondo delle associazioni, con gli studenti, con (alcuni) sindacati. Con quella che, in parte, era la sua “base”. Cos’è successo tra il 2015 e il 2019?

In Europa, in una sessione plenaria dell’Europarlamento, quella del 24 ottobre 2017, venne approvata una proposta proprio del gruppo Efdd-Movimento 5 stelle che riprendeva l’articolo 34, terzo comma, della Carta dei diritti dell’Unione europea con la “raccomandazione” della Commissione europea del 3 ottobre 2008 (2007/867/CE) relativa all’inclusione delle persone escluse del mercato del lavoro.

Ebbene, in quella proposta il Movimento 5 stelle mise nero su bianco l’invito “ai Paesi membri” di “introdurre regimi di reddito minimo adeguati” e di “garantire l’accesso all’alloggio, all’assistenza sanitaria, all’istruzione e a fornire sostegno ai bambini, ai disoccupati, alle famiglie monoparentali, ai senzatetto”.

Si parte dall’assenza del lavoro, quindi, per arrivare non all’obbligo di accettare, dopo la terza proposta, qualsiasi forma di impiego sul territorio nazionale (come previsto dal “reddito” approvato dal governo Conte) ma alla garanzia di servizi sociali e misure di contrasto alla povertà concrete.

Il Movimento 5 stelle, quando non era al governo, parlava di “libertà di scelta lavorativa”. Oggi di obbligatorietà. Spiegava il reddito (ora chiamato) di cittadinanza come “forma di contrasto alle mafie e alla povertà”. Oggi lo definisce – testuale – “misura di reinserimento nel mondo del lavoro che serve a integrare i redditi familiari”.

E ancora: Grillo parlava di 10 milioni di poveri che, con un vero reddito, si sarebbero “potuti salvare”. Oggi Di Maio parla di “aiutare 5 milioni di disoccupati” e “1 milione e 800 mila famiglie”.

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