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“Da 61 giorni in sciopero della fame per salvare Radio Radicale”, a TPI parla Maurizio Bolognetti

Immagine di copertina
Maurizio Bolognetti al 55° giorno di sciopero della fame

Il giornalista, collaboratore di Radio Radicale, è in sciopero della fame da settimane. Dopo l'apertura di Di Maio dice: "Bene, ma ora passiamo ai fatti"

Il giornalista Maurizio Bolognetti è in sciopero della fame da oltre 60 giorni per salvare la vita di Radio Radicale, alla quale il governo Conte minaccia di non rinnovare la convenzione che le garantisce la sopravvivenza e lo svolgimento della “funzione pubblica” che ha portato avanti dal 1976.

“Potrebbe sembrare strano che qualcuno faccia lo sciopero della fame per 61 giorni. Sembra qualcosa da pazzi. Molti hanno questo tipo di reazioni”, dice Bolognetti in un’intervista telefonica a TPI, in cui racconta le ragioni e i risultati finora raggiunti dalla sua protesta, che – suggerisce – è più una “proposta” che una protesta, su Radio Radicale.

“Forse siamo pazzi, sì”, prosegue il giornalista lucano, collaboratore di Radio Radicale. “Perché restiamo aggrappati, inchiodati a cose come Teoria e pratica della non violenza, alle parole di Martin Luther King, a Capitini, a Marco Pannella, a Ernesto Rossi nel senso di dato di resistenza a cui dà corpo, ai fratelli Rosselli. Queste vite che viaggiano con noi e che sono vive nella misura in cui ne conserviamo memoria”.

“Se questa è pazzia allora siamo contenti di essere pazzi. Pazzi di libertà probabilmente”.

Il digiuno di Bolognetti è parte di una mobilitazione più ampia, che ha portato anche Rita Bernardini, coordinatrice della Presidenza del Partito Radicale, ad affiancarlo con uno sciopero della fame (nel suo caso iniziato venti giorni fa), ma soprattutto alla nascita di un Intergruppo parlamentare in favore di Radio Radicale, alla presa di posizione di varie personalità pubbliche e politiche e alla sottoscrizione di una petizione da parte di oltre 90mila persone per garantire un futuro all’emittente radiofonica.

Maurizio Bolognetti, oggi il vicepremier Luigi Di Maio ha dichiarato: “Per Radio Radicale troveremo una soluzione”. Parole rassicuranti, lei che ne pensa? 

Mi sembra che ci sia un primo segnale di apertura al confronto e al dialogo che avevamo chiesto. Raccogliamo con favore la dichiarazione di Di Maio, vogliamo onorarla e corrisponderla.

Personalmente lo farò integrando le 300 calorie dei cappuccini che sto assumendo con le 100 calorie di una flebo di glucosio al 5 per cento e una flebo di un litro di soluzione fisiologica, per reidratarmi, come mi hanno suggerito i medici, dato che la situazione è abbastanza critica.

Così ci sarà anche più tempo per il dialogo. Un dialogo che – è importante sottolinearlo – ha varie forme e articolazioni. Non è solo quello dei 61 giorni di sciopero della fame, ma che è coi compagni, con la redazione e i tecnici di Radio radicale, con il suo direttore, coi sindaci, i consigli comunali, con l’Intergruppo parlamentare e con quella stampa che sta dando la possibilità di far ascoltare le voci della non violenza e sta onorando il diritto del conoscere per deliberare.

A che punto siete arrivati con la vostra lotta?

Per me è il 61esimo giorno di sciopero della fame, per Rita Bernardini è il 20esimo. Ci sono tante e belle dichiarazioni che si stanno susseguendo e che stiamo ascoltando anche attraverso le frequenze di Radio Radicale: politici, attori, uomini di scienza. È intervenuta anche l’Agcom, la Fnsi, l’Ordine nazionale dei giornalisti.

Ci sono comuni e regioni che stanno deliberando a sostegno della vita di Radio Radicale. Stasera, dopo che l’hanno fatto già cinque comuni, tra cui Matera, ci sono due piccoli centri lucani che si sono convocati per discutere una mozione a sostegno di Radio Radicale. Domani altri due comuni faranno altrettanto.

In tutt’Italia sta succedendo la stessa cosa, trovo che sia un dato straordinario. Ci sono istituzioni che stanno rispondendo ad altre istituzioni sposando una lotta e facendola propria. Questo è testimonianza di un’altra Italia che c’è e che è quello che dobbiamo coltivare, anziché coltivare altre cose che ci affossano, ci avvelenano.

Vi aspettavate questa mobilitazione in favore di Radio Radicale?

Non so se ce l’aspettavamo. Si dice che chi semina vento raccoglie tempesta. Noi stiamo raccogliendo altro, attestazioni di stima, affetto, apprezzamento del lavoro svolto non in un giorno ma in 43 anni. Non possiamo che gioirne. C’è un lavoro in corso, una lotta che ci vede impegnati in varie forme. Verrebbe da dire che c’è un’altra Italia possibile, anche al di là della specifica vicenda di Radio Radicale, per il tipo di riflessioni che stiamo ascoltando. A me tutto sommato sembra che stiamo parlando di democrazia, se è democrazia conoscere per deliberare, il motto einaudiano che è nel logo di Radio Radicale.

Lo strumento dello sciopero della fame è tipico della lotta non violenta. Lo ritiene ancora valido oggi?

L’obiettivo alla non violenza è di dar corpo al dialogo, è un tentativo di convincere i propri interlocutori. Con-vincere, vincere insieme.

Non è ricatto nella misura in cui stiamo difendendo un diritto: il diritto alla conoscenza, che è un diritto umano. Lo difendiamo proteggendo Radio Radicale, che questo diritto lo ha onorato fornendo un servizio pubblico.

Per me la non violenza è qualcosa di eterno. Non può non essere valido, sebbene a volte si cerchi di assassinare la non violenza.

Un esempio, magari si dialoga con il proprio corpo, e quel corpo viene obliterato, cancellato, nascosto. Si ha quasi la sensazione a volte che, paradossalmente, la non violenza faccia paura in determinati contesti. I corpi in lotta fanno paura, anche se talvolta vediamo in televisione cose molto più assurde. Ad esempio quando veniamo inondati di cronaca nera.

Credo che la non violenza sia il giusto mezzo per raccogliere i frutti che vogliamo. È tipica di chi non pensa che il fine giustifichi i mezzi, ma che siano i mezzi a prefigurare il fine. È questa la nostra non violenza, è quella di chi – di fronte alla violenza del potere – vuole essere cittadino e occuparsi di questioni importanti, di vita, perché la non violenza è vita. La democrazia, il diritto alla conoscenza, lo Stato di diritto, la giustizia, i diritti umani sono vita.

Qual è il valore di Radio Radicale? Perché va salvata?

Credo che garantire ai cittadini la fruizione del servizio pubblico che Radio Radicale svolge ogni giorno arricchisca il nostro paese, in un momento in cui c’è un attacco anche a piccole nicchie di informazione (penso a giornali storici e alla carta stampata).

Ma credo anche che Radio Radicale vada salvata perché comprende un archivio che io definisco una Treccani audiovisiva o – e forse esagero – una biblioteca di Alessandria dove c’è la storia politica, sociale, sociale di 43 anni del nostro paese. Dove ci sono le voci di tutti i protagonisti e magari anche dei comprimari della vita politica di questo paese. La responsabile delle Teche Rai Barbara Scaramucci anni fa diceva che è un archivio complementare di quello della Rai. Significa che dentro ci sono cose che l’archivio Rai, che è pure di tutto rispetto, non ha. I peggiori regimi della storia dell’umanità agiscono anche su un dato di memoria. Teniamocela stretta questa memoria.

Cosa risponde a chi dice che Radio Radicale dovrebbe entrare nel mercato?

Chiunque conosce Radio Radicale si rende conto che il tipo di servizio offerto è assolutamente incompatibile con qualsiasi radio commerciale, che si deve assoggettare alle regole di mercato.

Nel 1976 non c’era la convenzione, che non c’è stata per vent’anni. Ci abbiamo messo tutti i nostri averi e li abbiamo restituiti ai cittadini in termini di conoscenza, aprendo le porte del palazzo, per avvicinare gli eletti e gli elettori. Fermo restando che non è un lavoro solo istituzionale, ma anche dal basso, per dare voce. La natura commerciale snaturerebbe ciò che Radio Radicale è ed è stata.

Di fronte a questo valore, perché secondo lei Vito Crimi, Luigi Di Maio e anche lo stesso premier Conte hanno voluto mettere in dubbio – se non negare – il rinnovo della convenzione?

Credo che un po’ si abbia paura dell’informazione. L’invito a questi nostri amici è anche quello di riflettere: l’ignoranza non è forza. O meglio, ci si può far forti dell’ignoranza, in termini di conoscenza negata.

A chi ha sbandierato lo streaming io dico, avete uno strumento prezioso, anche a vostra disposizione, per onorare un diritto. Non privatevene. Questo alla lunga farebbe del male anche a voi.

Mi auguro che questo segnale di apertura del ministro Di Maio sia seguito da un ravvedimento operoso, che garantisca a Radio Radicale di continuare a svolgere il lavoro che ha svolto in questi 43 anni.

C’è una voce di Radio Radicale che si è spenta di recente, parlo ovviamente di Massimo Bordin. Che ricordo ha di lui?

Massimo continua a essere con noi e a essere presente nella misura in cui ne conserviamo memoria. Il ricordo che resterà indelebile, a parte il risveglio con le rassegne stampa e il suo raccontare un paese attraverso le pagine di un giornale, è quello delle sue conversazioni domenicali con Marco Pannella. Avendole seguite per lustri, credo che difficilmente riuscirò a dimenticarle. Era interessante seguire il filo di quello che accadeva in quelle due ore.

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