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Altro che patentino no-Covid, vi racconto il mio arrivo in Sardegna senza alcun controllo

Immagine di copertina
Credit: Pixabay

Spostarsi in aereo sul territorio nazionale ai tempi del Covid-19? Non è mai stato più semplice di così. Anche se in teoria, e cioè nella fase che precede la partenza, i controlli sembrano essere molto più stringenti del solito, nella pratica le misure di prevenzione stanno a zero. Almeno così è stato nel mio caso.

S&D

È l’ultima settimana di luglio e devo raggiungere la Sardegna da Bologna. Il mio volo è operato da Ryanair (scelta obbligata, visto che dal capoluogo emiliano-romagnolo l’isola è servita solo dalla low cost irlandese). Fino a quando non effettui il check-in online, sul sito della compagnia aerea fatichi a trovare informazioni riguardo le modalità del viaggio nella cosiddetta Fase 3. Tutto sembra esattamente identico a sempre, salvo che la tua meta siano la Sardegna, la Calabria o la Toscana: prima di stampare il tuo biglietto, scopri infatti che per raggiungerle devi compilare delle autocertificazioni da esibire in aeroporto.

Per quanto riguarda la Sardegna è sufficiente accedere al sito della Regione, dove in hompage campeggia, ben visibile, il banner “Registra il tuo arrivo”. Il modulo è molto dettagliato: oltre ai dati anagrafici, devi indicare le coordinate del tuo volo e circostanziare la destinazione finale del tuo viaggio prima di vincere una laurea in Medicina, sottoporti autonomamente ad una visita e diagnosticarti la negatività al Covid-19 sulla base di quanto appreso all’Università della Vita.

Hai una temperatura corporea uguale o superiore ai 37.5 gradi? Fin qui, poco male, un semplice termometro può esserti di aiuto. Ma quando devi rispondere a domande del tipo “hai nausea?”, “sei stanco?”, “sei entrato in contatto con il virus o con persone positive?”, chiaramente inventi, almeno in parte. Dichiari infatti di non essere stanco, anche se a fine luglio, dopo un anno di lavoro, sulla soglia di un’agognata vacanza, molto probabilmente lo sei. E dichiari, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non essere mai stato positivo al Coronavirus.

Ma la verità è che non lo sai, né puoi saperlo con assoluta certezza, a meno che non ti sia sottoposto ad un tampone o ad un test sierologico. Lo dichiari perché, in caso contrario, molto semplicemente, non parti. Ma la tua non è malafede, è che non hai sufficienti strumenti nemmeno per stabilire il contrario di ciò che sostieni, e allora perché rinunciare al tuo viaggio? D’altra parte, di tutto ciò che dici, e del suo contrario, ti assumi una responsabilità esclusiva. Dunque compili e stampi, sperando intensamente che la tua anamnesi sia corretta.

Arrivata in aeroporto ho un unico dubbio sul mio secondo bagaglio a mano: un piccolo trolley che in tempi normali avrei sicuramente diritto di portare a bordo, ma in tempi così incerti dovrà invece essere imbarcato nella stiva? Da qualche parte avevo letto che per evitare assembramenti a bordo dell’aereo, sia in fase di partenza che di arrivo, non possono essere utilizzate le cappelliere.

Prima di fare la fila per i controlli chiedo quindi conferma ad una delle operatrici, e così scopro che non c’è assolutamente problema, posso portare con me sia lo zaino che la valigia. Perfetto. Imbuco quindi la serpentina che mi conduce al controllo bagagli: scorre velocissimamente, visto che l’aeroporto di Bologna è praticamente deserto, nonostante siano le quattro del pomeriggio di un giorno a caso dell’ultima settimana di luglio.

A terra degli adesivi aiutano i passeggeri a mantenere la distanza di un metro ma quando qualcuno non se ne accorge e non rispetta le distanze, sta a te farglielo notare. È come stare al liceo in piena autogestione, degli addetti aeroportuali nemmeno l’ombra. E infatti in appena dieci minuti arrivo al gate: è tutto talmente rapido che nemmeno mi accorgo che nessuno mi ha ancora misurato la febbre. Non ci sono proprio termoscanner in giro, e trovo una sola postazione con il gel igenizzante, solo una volta superati i controlli di sicurezza.

Mentre attendo, in enorme anticipo, improvvisamente compare una signora che distribuisce dei fogli che devono essere obbligatoriamente compilati, “da consegnare al vettore”. Sia io che i miei compagni di viaggio avevamo già stampato il modulo della Regione, ma scopriamo in aeroporto che non è sufficiente, bisogna autocertificare le stesse cose di sopra anche per essere imbarcati: a quel punto, all’apice della rivoluzione digitale, scoppia “il panico delle penne” e circa 150 persone abbandonate a se stesse compilano i moduli con una stessa Bic. La mia.

Nessuno, nell’arco di circa 3 ore, misurerà ai passeggeri del mio volo la temperatura, né alla partenza, né all’arrivo, né all’ingresso dell’aeroporto, né all’imbarco, né sull’aereo. In una condizione di sostanziale deserto – sia il Guglielmo Marconi che Elmas sono spettrali – si sarebbero potuto effettuare tutte le procedure di sicurezza con grande agilità, in pochi minuti, ma invece niente.

I controlli sono totalmente assenti anche quando si tratta delle famose autocertificazioni, che nel caso dei viaggiatori diretti in Sardegna, lo ricordo, sono addirittura due, praticamente identiche. Né il personale di bordo né il personale di terra, né a Bologna e neppure a Cagliari, ne chiederà conto. Potresti non aver compilato nessun modulo ed essere comunque riuscito a partire e arrivare a destinazione, come se nulla fosse.

Ma forse la situazione più emblematica di tutte è un’altra. Mentre mi dirigevo dal gate all’aereomobile ho trovato per terra, lungo uno dei corridoi, una carta di imbarco. Pensavo appartenesse ad uno dei viaggiatori del mio volo e così l’ho raccolta per paura che senza quel documento il mio aereo potesse ritardare la partenza. Avendo le mani impegnate e non volendo rallentare la fila, l’ho infilato in fretta e furia nella tasca dei miei pantaloni con il proposito di consegnarlo ad una delle hostess di volo appena raggiunto l’aereo ma poi me ne sono completamente scordata.

Mentre ero in viaggio ho infine scoperto che il tagliando si riferiva ad un Bologna-Fiumicino in partenza diverse ore prima, alle 14.45. Ne deduco quindi che quel volo è partito anche se uno dei passeggeri, per la precisione una cittadina straniera, era sprovvisto della sua carta d’imbarco. Considerato che durante l’intera trafila nessuno ha mai chiesto la mia, di carta di imbarco, tendo a dubitare che alla signora ne sia stata stampata una sostitutiva. Per quel che ho visto, infatti, al tempo della pandemia i viaggi aerei non solo ti trasportano nello spazio, ma anche nel tempo: precisamente nell’Ottocento, in pieno Far West.

Leggi anche: 1. Il sindaco leghista di Codogno: “I negazionisti del Covid? Vengano a vedere il nostro cimitero” / 2. Le assurde giravolte sul Covid di Bocelli, che ora si lamenta del lockdown nella sua mega-villa (di Selvaggia Lucarelli)

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