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    Calabria, arrestato boss della ‘ndrangheta grazie al decreto Coronavirus

    Credits: ANSA/Fabrizio Fois

    Antonio Cordì è stato preso dalle forte dell'ordine mentre violava le norme contro il Covid-19

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 13 Mar. 2020 alle 10:47 Aggiornato il 13 Mar. 2020 alle 10:51

    ‘Ndrangheta, arrestato il boss Antonio Cordì grazie al decreto Coronavirus

    L’ultimo decreto emanato dal Governo contro il Coronavirus non ha solo limitato gli spostamenti e cambiato le abitudini degli italiani, ma indirettamente ha fatto sì che un importante boss della ‘Ndrangheta fosse arrestato: si tratta di Cesare Antonio Cordì, 42enne esponente di spicco dell’omonimo clan di Locri. L’uomo era ricercato da agosto 2019, quando era riuscito a sfuggire alle forze dell’ordine durante un’operazione antimafia. Stavolta, invece, è stato catturato. In un modo davvero singolare.

    Cesare Antonio Cordì stava passando la sua latitanza in una villetta situata in una contrada isolata di Bruzzano Zeffirio, piccolo paese della Locride. Una zona apparentemente disabitata e per questo perfetta come nascondiglio, se questi fossero tempi normali. Ma ai tempi dell’emergenza Coronavirus, con le strade vuote e i controlli su strada fortemente intensificati, la copertura del boss emergente della ‘ndrangheta calabrese è crollata presto. I carabinieri, infatti, hanno iniziato a notare alcuni movimenti sospetti nella contrada. E subito hanno pensato a Cordì, visto che secondo le indagini il boss aveva preferito non allontanarsi dalla zona da lui amministrata.

    Così, gli agenti hanno seguito gli spostamenti di una persona che – si è scoperto dopo – era deputata a rifornire di cibo e altri viveri il boss della ‘ndrangheta. Individuata la villetta, apparentemente senza nessun inquilino all’interno, i carabinieri l’hanno circondata in attesa di movimenti sospetti. Quando alla finestra hanno notato il fumo e il bagliore di una sigaretta, hanno fatto irruzione sorprendendo Cordì mentre tentava la fuga dal retro dell’abitazione. Un’estremo tentativo rivelatosi però inutile. Adesso lo aspetta un processo, visto che Cordì – oltre alla latitanza – è accusato di trasferimento fraudolento di valori, aggravato dall’aver favorito l’associazione mafiosa.

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