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“Quando vedi un bimbo morto ti arriva uno schiaffo, non lo dimentichi”. La soccorritrice di Open Arms a TPI

Immagine di copertina
Esther, volontaria di Open Arms Credit: Valerio Nicolosi

Open Arms – Anche Mediterranea è salpata! Avevano dato l’annuncio il giorno precedente e, seppur ridimensionata, è tornata in mare. La Mare Jonio è sotto sequestro a Licata dopo il soccorso effettuato lo scorso maggio e lo sbarco a Lampedusa.

Sono tornati in mare e hanno deciso di farlo per essere occhi indipendenti su quello che avviene in questo pezzo di Mediterraneo, e lo hanno fatto con la Alex, un piccolo veliero di 15 metri.

La Open Arms invece continua a fare pattugliamento, quando nel pomeriggio gira la prua e si dirige proprio verso la Alex. L’incontro è breve ma di quelli che fanno piacere, ci si scambia informazioni oltre che abbracci.

Oscar Camps, fondatore di Open Arms, a TPI: “Il rilascio di Carola è uno schiaffo magistrale al Decreto Salvini”

Io ritrovo colleghi che conosco bene e con i quali ho già lavorato in mare e altri che ho letto spesso ma che non conoscevo di persona. Ritrovo Erasmo Palazzotto e Maso Notarianni, rispettivamente deputato di Sinistra Italiana e membro dell’ARCI Nazionale, che hanno già partecipato ad altre missioni quando io ero imbarcato.

L’incontro avviene giusto al tramonto, con Lampedusa che disegna l’orizzonte e le piccole luci del paese ci dicono che quell’isolotto europeo, che funziona da porta per chi arriva, è vivo.

Le due navi, dopo un paio d’ore dall’incontro, puntano a sud e ricominciano a pattugliare. Il mare sembra una distesa olio, perfetto per navigare sia per noi che per chi vorrebbe scappare dalla Libia.

Il meteo dei prossimi giorni dà mare buono e tempo sereno, potrebbero esserci delle partenze. La sveglia delle 5:30 suona come sempre impietosa, il navigare lento e senza onde rende più difficile alzarsi.

Giusto il tempo di mettere su la moka gigante che basta per tutto l’equipaggio, che sono sul ponte per dare il cambio alla guardia. Siamo già molto più a sud, tutto intorno a noi continua ad essere piatto, vediamo solo poche navi mercantili in lontananza e nient’altro.

Fare pattugliamento così è snervante. A volte, in altre missioni, è capitato di non vedere nessuno per giorni interi. Più andiamo a sud e meno navi ci sono, hanno svuotato quel pezzo di mare per evitare che i mercantili incontrino i gommoni o le barche partite dalla Libia e non restino bloccate per giorni.

Credit: Valerio Nicolosi

Mentre guardo al binocolo parlo con Esther, classe 1990, giovane ma con tanta esperienza. Mi racconta che ha iniziato come volontaria nel 2015, imbarcandosi sulla prima nave di Proactiva Open Arms, la Golfo Azzurro, che salpava da Barcellona e arrivava nell’isola di Lesbo, dove la ONG ha iniziato le sue attività.

“Lo stesso giorno in cui sono arrivata nell’isola greca c’è stato uno sbarco. Era abbastanza tranquillo, arrivarono da soli sulla spiaggia ma a bordo c’erano donne, bambini piccoli, anziani. Fu d’impatto e nel mese in cui sono rimasta come volontaria, mi sono resa conto che aiutare le persone era quello che avrei voluto fare nella mia vita”.

Esther ha fatto un percorso di studi che c’entra più con il mio lavoro che con quello che fa ora. “Scuola Audiovisiva”, una sorta di “Cine e Tv” spagnolo che però non ha mai messo in pratica.

“Non sempre le cose però andavano bene, anzi! Una volta c’era una barca alla deriva. C’erano molte persone a bordo ma le autorità non ci davano l’autorizzazione ad intervenire e a rimorchiarla fino al porto. Dopo quasi 4 ore siamo riusciti ad ottenerla ma abbiamo sbarcato un neonato morto. È stata la prima volta per me e mi è arrivato come uno schiaffo forte. Ce ne sono stati altri così”.

Lo sguardo di Esther è fermo ma nasconde una sensibilità incredibile. Una donna minuta di corporatura ma forte sia fisicamente che mentalmente. Le chiedo della prima missione nel Mediterraneo Centrale e mi racconta di un bambino piccolo in difficoltà soccorso dalla Sea-Eye e evacuato prima sulla Golfo Azzurro, la nave di Proactiva Open Arms e poi alle autorità maltesi.

Mentre sulla peggiore esperienza in mare non ha dubbi: “Josepha” dice, come se quel nome dicesse già tutto. Poi ci pensa e comincia a raccontare: “Per ore abbiamo ascoltato la conversazione tra un mercantile e la Guardia Costiera Italiana e quella di Tripoli, sapevamo che c’era un gommone in difficoltà ma non sapevamo cosa stesse succedendo e questo era frustrante. Quando arrivammo, eravamo circa a 2 miglia, e dal binocolo vedemmo dei corpi, sembravano morti. Il gommone era tagliato ed era a pelo d’acqua. I libici erano arrivati, avevano intercettato l’imbarcazione e avevano abbandonato i corpi in mare”.

È seria mentre lo racconta ma poi esce fuori un piccolo sorriso, appena accennato. “Poi vedemmo un braccio che si muoveva e scendemmo di corsa, trovammo Josepha, viva”. La pelle d’oca si prende il braccio destro, lo irrigidisce mentre, quasi sovrappensiero, la mano sinistra lo accarezza per passare.

Il mare è ancora piatto e all’orizzonte non c’è nessuno. Se dovessimo trovare qualcuno, speriamo sia vivo.

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Diario di bordo del reporter di TPI | Giorno 4

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