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È morto Matteo Messina Denaro: l’ultimo boss stragista stroncato dal tumore

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Matteo Messina Denaro è morto. Dopo una agonia di alcuni giorni, l’ultimo stragista di Cosa Nostra se n’è andato nell’ospedale dell’Aquila. Era stato arrestato a gennaio, dopo 30 anni di latitanza. Il capomafia, 61 anni, soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato, a fine 2020. Ed era stato proprio il cancro al colon a portare i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo sulle tracce del boss, riuscito a sfuggire alla giustizia per 30 anni. Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella.

Porta via con sé molti dei segreti di questo Paese. Anche dopo l’arresto, infatti, non ha voluto collaborare con la giustizia. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei giorni scorsi era stato dichiarato in coma irreversibile. In questi mesi seguenti all’arresto, il padrino è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultima non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere, ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale, trattandolo con la terapia del dolore e poi sedandolo.

Recentemente ha dato il suo cognome alla figlia Lorenza Alagna, avuta in latitanza e mai riconosciuta. La ragazza, che aveva incontrato il padre per la prima volta in carcere ad aprile, insieme a una delle sorelle del capomafia e alla nipote Lorenza Guttadauro, che è anche il difensore del boss, è stata al suo capezzale negli ultimi giorni. Il boss nelle sue ultime volontà ha rifiutato l’accanimento terapeutico e ha detto di non volere funerali in Chiesa.

Il padrino di Castelvetrano si è portato tutti i segreti con sé, come aveva fatto suo padre Don Ciccio, morto in latitanza. Durante gli interrogatori in carcere si è comportato come un irriducibile, anche sbeffeggiando i magistrati: “Io non mi farò mai pentito. Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso, Cosa nostra la conosco dai giornali. Magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra”.

Chi era Matteo Messina Denaro

Latitante dal 1993, e inserito nella lista dei più pericolosi del Viminale, è stato capo del mandamento di Castelvetrano – suo paese di nascita – e rappresentante di vertice della mafia nella provincia di Trapani. Insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano è stato uno dei boss più potenti di tutta Cosa Nostra.

Chiamato “U Siccu” per la sua corporatura, oppure “Diabolik” per la sua capacità di restare nell’ombra, è stato uno degli uomini chiave del biennio stragista 1992-1993, e, insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano, è stato uno dei boss più potenti di tutta Cosa Nostra.

A vent’anni divenne pupillo di “U curtu” (Riina ndr.), dopo l’arresto di quest’ultimo fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

Nel 1992 fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli.

Nel luglio di quello stesso anno Messina Denaro fu tra gli esecutori dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, che aveva cominciato a ribellarsi all’autorità di Riina. Soltanto alcuni giorni dopo strangolò a mani nude anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi.

Nel 1993 fu tra i mandanti del sequestro del dodicenne Giuseppe Di Matteo, nella speranza che il padre, l’ex mafioso Santino Di Matteo, evitasse di collaborare con gli inquirenti che stanno indagando sulla strage di Capaci.

Dopo due anni giorni di prigionia, il piccolo fu strangolato e il suo cadavere venne sciolto nell’acido. Il 21 ottobre 2020 è stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo dalla Corte D’Assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

È stato arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo, mentre era in day hospital alla clinica Maddalena nella quale si recava per sottoporsi alla chemioterapia.

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