Femminicidio Giulia Cecchettin: “Le 75 coltellate di Turetta non sono segno di crudeltà ma di inesperienza”
Depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato all'ergastolo Filippo Turetta
La Corte d’assise di Venezia ha depositato le motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo Filippo Turetta per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. I giudici spiegano perché sono stati esclusi stalking e crudeltà e, al tempo stesso, motivano la condanna sottolineando “l’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”.
L’aggressione mortale a Giulia Cecchettin è durata 20 minuti, “lasso di tempo durante il quale ha avuto la possibilità di percepire l’imminente morte. A tal fine manca tuttavia la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita”. Turetta, nella sua confessione, “si è limitato ad ammettere solo le circostanze per le quali vi era già ampia prova in atti d’altra parte”, condotta “in linea con il contegno tenuto in sede di primo interrogatorio, quando egli non solo ha sottaciuto ma ha apertamente mentito in ordine a diverse, anche gravi, circostanze poi emerse a seguito delle accurate indagini svolte”.
“Dalle intercettazioni delle conversazioni occorse in carcere tra lui e i genitori – si legge ancora nella sentenza – si evince chiaramente come egli fosse a conoscenza del fatto che, oltre agli elementi fino ad allora emersi, vi era molto altro a suo carico, eppure si è guardato bene dal riferirne in sede di interrogatorio”. Turetta, secondo i giudici, ha mantenuto “lucidità e razionalità” dopo l’omicidio con la “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo quantomeno da ritardarne il ritrovamento”. E ancora: “La scelta del luogo in cui abbandonare il cadavere, la distanza rispetto alla zona” in cui si è consumato il femminicidio, le modalità in cui il corpo è stato lasciato, sono elementi che fanno ritenere “integrati sia l’elemento oggettivo sia quello soggettivo del reato”.
Secondo i giudici la dinamica dell’omicidio non permette di “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio”, che Filippo Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive” e “non è a tal fine valorizzabile, di per se, il numero di coltellate inferte”, motivo per cui è stata esclusa l’aggravante della crudeltà. Le 75 coltellate non sono state “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima” ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità” di Turetta. Le immagini della videocamera di sorveglianza dove è avvenuto il delitto mostrano colpi ravvicinati e “quasi alla cieca”. Quindi “tale dinamica, certamente efferata” si ritiene non “sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato”.
Per i giudici Turetta “non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito”. L’assassino ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva… non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva”. Anche le ferite causate dalla coltellate “appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio” per cui non sarebbero un elemento “significativo della sussistenza, in capo all’imputato, di volontà di voler infliggere in danno della vittima sofferenze aggiuntive e gratuite, necessaria al fine di poter ritenere integrata l’aggravante della crudeltà”.
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