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Home » Cronaca

Bestiario scolastico ai tempi del Coronavirus: la mia tragicomica esperienza con la didattica a distanza

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Annachiara Capuzzo, docente di scuola media della provincia di Padova, racconta la vita di un'insegnante alle prese con la didattica a distanza. Tra gatti davanti alle telecamere, alunni in pigiama e il solito pregiudizio contro una categoria di lavoratori considerata "privilegiata"

Coronavirus, scuola e didattica a distanza: il Bestiario scolastico

Ve la spiego io la didattica a distanza nella scuola ai tempi del Coronavirus. È quando gli alunni arrivano a lezione puntualmente in ritardo, ma sempre nello stesso ordine, e tu hai aggiornato l’elenco alfabetico della classe con l’elenco temporale di arrivo in videoconferenza, che funziona benissimo. È quando durante la lezione l’alunno si oscura per qualche minuto e poi ti dice che l’ha fatto perché è passata sua mamma o perché doveva soffiarsi il naso, e tu gli fai notare che in classe non era mai uscito per soffiarsi il naso, e sulla mamma sorvoli, gli dici che l’avresti salutata volentieri.

È quando sei costretta a dire Giada, io sono un’amante degli animali e il tuo gatto è bellissimo, ma ora per favore spostalo dalla telecamera, non credo che il tuo felino ci aiuterà a capire il successo delle campagne napoleoniche in Italia. È quando l’alunno entra in videoconferenza in pigiama e comodamente sdraiato a letto e con il braccio dietro la testa, pronto ad ascoltare la tua lezione sulla crisi missilistica a Cuba.

È quando li interroghi da remoto e vedi i loro occhi andare da destra a sinistra come i presentatori davanti alla telecamera e immagini l’arsenale di documenti che hanno aperto sul loro schermo per darsi un aiutino. È quando fai una domanda a Tizio, e Caio in un secondo e mezzo ha già scritto la risposta in chat, solo che l’ha mandata to everyone e la leggi anche tu. È quando ti chiedono i compiti che sono regolarmente pubblicati in bacheca, chissà, non avranno ancora scoperto la funzione Messaggi precedenti, ti dici, allora gli scrivi guarda i messaggi precedenti in bacheca e loro ti rispondono che non ci sono messaggi precedenti. Vabbè.

È quando non ti mandano mai i compiti alla scadenza, e ti dicono che te li mandano dopo, parola magica dai molteplici significati. Bisogna che mi ricordi di scrivere un appunto all’Accademia della Crusca per l’aggiornamento sul termine “dopo”. È quando ti mandano le foto del quaderno maledettamente sfocate e in prospettiva trapezoidale, che ti senti un archeologo che ha appena trovato una stele ittita incisa su roccia friabile, solo che non fai l’archeologo, volevi solo leggere se avevano scritto qualcosa di sensato sull’apartheid in Sudafrica.

È quando gli chiedi di inviarti i compiti in Word e loro li fanno in Word e poi ti mandano la foto del documento Word. La foto. E tu gli scrivi che senso ha? E poi pensi che non c’è speranza per l’umanità e ti chiedi perché cavolo tutti questi asteroidi che sfiorano la Terra sono sempre troppo piccoli e soprattutto non prendono mai bene la mira. È quando all’inizio non sai ancora cosa ti aspetta e ingenuamente chiedi di inviarti il compito tal dei tali senza altre indicazioni e questo ti arriva in 24 formati diversi, metà dei quali non sapevi neppure esistessero e di sicuro il tuo computer non li apre, allora passi il pomeriggio provando a scaricarli da altri dispositivi che hai in casa, sperando che con qualcuno funzioni e ti chiedi ma cos’è diventato fare l’insegnante?

È quando il tuo alunno si ostina a dirti che lui non può fare il tema perché non ha Word nonostante sia un genio dell’informatica e pubblichi su Youtube, e in questo modo si è sfangato già due compiti, e quando gli dici allora oggi chiamo tuo padre (“padre” fa più effetto) dopo due minuti ti risponde ah prof, ma lei intendeva Word? Si si, ce l’abbiamo, non serve che chiami mio padre. È quando per evitare il di cui sopra, prepari un compito in Powerpoint modificabile e specifichi di compilarlo e di restituirlo sempre in Powerpoint modificabile per vedere le correzioni, e loro te lo rimandano invece come foto delle schermate, come foto delle pagine stampate, come foto del quaderno su cui hanno ricopiato e svolto il compito e da ultimo, tanto per dirsi fortunati, in pdf.

È quando durante la lezione risuonano le urla dei fratellini, lo spignattare degli adulti, l’abbaiare dei cani e il trillo dei telefonini di 24 case diverse, e allora fai spegnere il microfono, solo che quando rivolgi una domanda a un alunno, istintivamente sulle prime ti risponde immancabilmente a microfono spento. È quando il giorno dell’interrogazione provvidenzialmente c’è poca connessione, non riescono proprio a collegarsi, purtroppo, aggiungono quando te lo scrivono dopo in chat come auto-giustificazione. E ti chiedi la strana coincidenza delle tempeste cosmiche con il tuo orario di lezione, che quasi quasi passi alla Nasa il tuo calendario così è più facile fare previsioni, per la Nasa.

È quando gli chiedi di mettere la foto profilo e loro piazzano l’immagine del pallone da basket perché evidentemente tu devi sapere che un pallone da basket corrisponde all’alunno tal dei tali, no? E allora gli dici che no, tu hai bisogno di vedere la loro faccia, e loro ti mettono la foto di quando avevano quattro anni. Allora rinunci, e pensi al prossimo asteroide, che arrivi presto e ci finisca senza farci troppo soffrire. È quando gli chiedi di nominare i file che ti mandano perché ne ricevi centinaia alla settimana e vorresti velocizzare l’archiviazione, e niente, vedi sopra come con la foto profilo.

È quando per ogni singolo messaggio che lasci in bacheca ricevi decine di notifiche di ok prof a tutte le ore del giorno e questo maledetto bollino rosso con il numero di notifiche che cresce di ora in ora diventa l’incubo delle tue giornate perché non sai mai se è un inutile ok prof o la richiesta sensata di un alunno o il ritardatario che ha visto il quattro nel registro e si è dato una mossa inviandoti il suo compito fuori termine e aggiungendo immancabile la richiesta prof mi cambia il voto sul registro adesso? o il messaggio di un genitore o l’avviso che un asteroide amico sta finalmente impattando sulla Terra, non lo sai e per scrupolo controlli le notifiche anche tu a tutte le ore del giorno fino a tarda sera. È quando gli hai dato l’orario settimanale delle videoconferenze, ma dalle otto alle dieci di sera ricevi messaggi che ti chiedono prof domattina facciamo storia, come è scritto nell’orario? E niente, vedi sopra con le notifiche.

È quando stai spiegando la politica italiana negli anni Cinquanta e l’alunno, per accomodarsi meglio sul divano, si muove ed esibisce un ventaglio di carte da scala quaranta, una mano fortunata devo dire, tris d’assi e poker di jack, e capisci che quando guardava fuori telecamera non era per prendere appunti sulle due correnti interne alla Democrazia cristiana. È quando in perfetta traslitterazione italiano-italiano e inglese-italiano, l’alunno ti scrive scusi prof o sbagliato fail. Lasciamo perdere la o, è una battaglia persa. Fail è un capolavoro. Allora ti viene la voglia di abbandonare l’insegnamento per ovvi motivi e di metterti a scrivere il prossimo manuale di grammatica per il 2050, tanto sai come va a finire per la lingua italiana.

È quando lavori al computer dalle otto della mattina alle sette di sera se ti va bene, con un’ora di pausa pranzo, perché non devi solo gestire il tuo normale lavoro da insegnante, ma devi anche implementare i lavori in digitale, vedere e valutare e archiviare centinaia di lavori che ti arrivano in tutti i formati disponibili sul mercato e soprattutto devi gestire in contemporanea tre piattaforme: il registro elettronico ufficiale, la piattaforma per lo scambio di materiali e l’applicazione per le videoconferenze con ID e password diverse ad ogni lezione per evitare l’intrusione di estranei (che però entrano lo stesso) e tutto il corollario della funzione docente che sappiamo essere abbastanza sconfinato. E di tutto questo carico ti rendi conto quando inizi a dover usare gli occhiali più forti perché gli altri non ti bastano più oppure quando la notte non dormi più bene come prima e lo sai che una regola dell’igiene del sonno è quella di non stare troppe ore al computer, ma è il tuo lavoro, e adesso è così e non ti lamenti con nessuno, ci mancherebbe.

È quando ripensi che la tua scuola in dieci/quindici giorni ha messo in piedi da zero la didattica a distanza per più di un migliaio di alunni in una processione di step da fare invidia a una task force ministeriale, in una full immersion fatta di videoconferenze quotidiane per imparare a fare le videoconferenze quotidiane, che detta così sembra tanto un barocchismo, che a volte sono andate avanti fino alle 11 di sera, e ripensi a quei colleghi che non sapevano neanche usare la Lim e adesso sono lì che chattano come nativi digitali e ai colleghi puristi della lingua italiana che si districano con sciami semantici di parole straniere come piovesse. È quando hai dato i tuoi dati a delle piattaforme digitali gratuite, senza pensarci troppo su chi li gestirà e come, siamo in emergenza in fondo e non c’è tempo per questi scrupoli bizantini, e ti auguri che non li abbiano già venduti a qualche agenzia di marketing o a qualche partito politico perché lo sai benissimo che quando qualcosa è gratis, il prezzo sei tu.

È quando il Primo maggio, Festa dei lavoratori, in un’Italia in lockdown fase 1, apri la bacheca Fb e trovi il post di una tua amica che dice “È facile, per chi ha lo STIPENDIO statale che non gli è mai stato toccato dire Riapriamo tutto a settembre” come se noi volessimo consciamente prolungare questo delirio, e dopo avere raccolto le braccia che ti sono cadute e sprofondate quasi al centro della Terra, ma senza aver fatto purtroppo i danni del famoso asteroide, rifletti sul fatto che non esiste in italiano una parola da mettere accanto ai termini razzista, sessista, xenofobo e omofobo per indicare l’odio indiscriminato verso una categoria di lavoratori, un odio riversato a pioggia come da uno spandiletame. Non esiste e bisogna inventarla.

di Annachiara Capuzzo, docente di scuola media che vive e lavora nella provincia di Padova

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