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I tabù degli psicofarmaci

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Mentre poche persone manifestano perplessità o difficoltà ad assumere terapie antibiotiche o antidolorifiche al bisogno, i farmaci che hanno a che fare con le patologie psichiatriche e psicologiche scatenano dubbi e timori. Parlare di psicofarmaci molto spesso spaventa e preoccupa soprattutto perché associati ad occhi vitrei, deambulazione lenta, mente annebbiata e patologie gravi.

Chi assume psicofarmaci quindi è pazzo o forse irrimediabilmente depresso? Non è in grado di gestirsi autonomamente? Subirà cambiamenti irreversibili? Ne sarà dipendente e schiavo per stare bene? Questi sono dubbi del tutto comprensibili che la conoscenza nazional popolare ha nel tempo radicato e tramandato nelle generazioni, lasciando spazio a perplessità, confusione e titubanze che necessitano di maggiore chiarezza.

L’obiettivo di questo articolo è divulgativo, ossia ampliare la conoscenza sul tema degli psicofarmaci per promuovere una cultura aggiornata ed accessibile sulla salute mentale. Il proposito è quello di favorire una comprensione volta a ridurre distanze, stereotipi e pregiudizi che tutt’oggi ci circondano e condizionando. Per poter accogliere punti di vista diversi dal nostro, non è necessario condividerli ma è essenziale conoscere. Perciò attrezziamoci e lasciamo spazio all’informazione!

Iniziamo distinguendo con chiarezza la psicoterapia dalla psicofarmacologia, la prima utilizza, il colloquio, le parole, la relazione tra paziente e terapeuta per agire sulle cause cognitive, emotive e comportamentali del disagio. La seconda, invece, agisce a livello fisiologico attraverso la somministrazione di farmaci che intervengono sul funzionamento del sistema nervoso centrale. Parliamo dunque di terapie differenti, elargite da professionisti differenti (psicologi psicoterapeuti e medici psichiatri) ma non per questo incompatibili.

I PERCORSI DI PSICOTERAPIA PREVEDONO L’ASSUNZIONE DI FARMACI?
No. Un percorso psicologico riguarda la possibilità del paziente di modificare la propria modalità di approccio alle cose, con l’obiettivo di renderle meno faticose ed invalidanti. Sostanzialmente, se iniziamo una terapia ad esempio per un problema d’ansia, quello che faremo sarà da un lato identificare strategie utili nella gestione del sintomo ansioso, dall’altro riorganizzare schemi mentali e pensieri automatici che sollecitano l’ansia.

In fin dei conti, ciò che avviene all’interno di un percorso terapeutico, è imparare a gestire l’emotività, fisiologicamente innescata dalle situazioni che ci coinvolgono durante l’arco della nostra vita, attraverso l’impiego di strategie specifiche. Il loro scopo è quello di rendere più tollerabile la situazione, l’emotività ed i pensieri disturbanti ad essi associati. Quindi, all’interno di questo percorso psicologico, non è assolutamente necessario assumere psicofarmaci.

QUANDO PUO’ ESSERE UTILE FARE RICORSO AGLI PSICOFARMACI?
I farmaci diventano un valido sostegno quando l’emotività è così elevata da non consentire il lavoro strutturale che una psicoterapia prevede. Per esempio, se il sintomo ansioso sopracitato non ci permette di dormire o di mangiare per via dello stomaco chiuso, allora può risultare opportuno un intervento più immediato da affiancare al supporto psicologico che consenta al paziente di essere presente in terapia e di assimilare quanto previsto dal percorso.

Il farmaco in questo caso, avrà il ruolo di stampella, ci permetterà infatti di proseguire la nostra vita, di camminare, nonostante la nostra gamba sia ancora dolorante e fuori uso. Ovviamente quando l’arto riprenderà la sua naturale motricità, la stampella perderà senso di utilizzo per cui la persona tornerà a camminare autonomamente senza il bisogno di alcun supporto.

UN FARMACO È PER SEMPRE?
No, come già detto, se il farmaco è quell’aiuto che consente al percorso psicologico di proseguire nel tempo, lo stesso farmaco verrà poi interrotto quando la sintomatologia, ritenuta precedentemente invalidante, diviene gestibile dal paziente in autonomia.

I FARMACI MODIFICANO LE PERSONE?
Andando ad agire sulla componente emotiva i farmaci che consideriamo quando parliamo di affiancamento a una psicoterapia, non possono modificare strutturalmente una persona. È come se pensassimo che un antinfiammatorio o un antibiotico fossero capaci di alterare il nostro organismo irrimediabilmente. Questo non avviene né per quanto riguarda i farmaci che agiscono sul corpo e né per quanto riguarda gli psicofarmaci che agiscono sulla mente. È molto più sensato ipotizzare che la psicoterapia, nel lungo termine, sia in grado di modificare una persona.

A CHI MI DEVO RIVOLGERE SE PENSO DI AVERNE BISOGNO?
Se stai seguendo un percorso psicologico, puoi affrontare questo tema con il tuo terapeuta così da considerare la possibilità di assumere psicofarmaci attraverso un confronto costruttivo con qualcuno che sia a conoscenza delle difficoltà che stai attraverso in questo momento. Molto spesso psicoterapeuti e psichiatri collaborano l’un l’altro, è plausibile dunque ipotizzare che il tuo terapeuta sarà in grado di consigliarti nominativi di psichiatri a cui rivolgerti.

Al contrario, il primo passo da fare è quello di contattare il proprio medico di base, la figura che conosce meglio noi e la nostra storia clinica. Il medico, può cogliere una situazione di sofferenza psicologica e orientarci verso lo psichiatra con la specializzazione più in linea con il disturbo sperimentato. Inoltre, conoscendo altri professionisti del luogo, saprà suggerire qualche nome. Nulla impedisce poi di fare qualche ricerca in rete: sul web si potranno reperire informazioni sul suo curriculum vitae, leggere recensioni o semplicemente farsi un’idea della sua persona.

I consigli della psicologa Giulia Amandolesi in tempi di pandemia da Coronavirus:
1. Non si fa più l’amore come una volta (di Giulia Amandolesi); // 2. Smart working: i rischi di lavorare da casa e come evitarli (di Giulia Amandolesi); // 3. Come scegliere lo psicologo giusto per te (di Giulia Amandolesi); // 4. Ansia, una pandemia parallela

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