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L’uomo forte in Italia non è più Salvini, ma Conte: è lui il premier perfetto per un governo M5s-PD

Il video-commento di Luca Telese

 

 

S&D

Conte governo – E così le chiavi di casa adesso le ha in mano Giuseppe Conte, “l’avvocaticchio”, l’uomo che per un anno era stato definito il “premier di paglia”, “il prestanome”. L’uomo che i giornaloni dopo aver irriso dovranno riscoprire come uno statista.

Ma la politica italiana è il luogo dello spettacolo e del paradosso, e negli stessi giorni in cui l’ex “uomo forte” Matteo Salvini intona il suo speranzoso “ricominciamo”, l’uomo che può davvero staccare la spina (e quindi aprire un nuovo corso) è uno solo: lui.

Questo accade, perché Conte, tra i barbari è l’unico che abbia una formazione di serie A nella classe dirigente. Viene dal collegio Nazareth, selezionato dalla professoressa Groppelli, nell’istituto diretto da Monsifgonr Silvestrini dove lavoravano Parolin e Viganò.

Ci entrò per merito e ne fu costretto a uscire per la “parabola dei tenenti”, perché doveva fare posto ad uno che era più poveri di lui. Fu richiamato dopo la laurea dalla donna che lo aveva selezionato, e lì divenne amministratore, gestore, leader respirando l’atmosfera dell’eccellenza.

Insegnava a Firenze con un giovane assistente che si chiamava Alfonso Bonafede. Fu lui a proporgli di entrare nel governo ombra. Conte, un po’ stupito è un po’ compiaciuto, gli rispose: “Ma io voto Pd”. E Bonafede: “Professore, a noi non importa cosa votava. A noi importa che lei sia una persona perbene”.

Entrò nel governo ombra come ministro designato della funzione pubblica, poi divenne premier dopo il reciproco veto tra Salvini e Di Maio. Ma Conte ha trovato il suo vero ruolo da protagonista nelle trattative con l’Europa.

È stato lui a chiudere nel dicembre scorso la difficilissima trattativa sul rischio-infrazione per debito. Sempre lui a chiudere – ed è stato il suo capolavoro – la seconda trattativa senza dover ricorrere a nessuna manovra correttiva.

E insieme a questo il grande colpo: portare il M5s a votare la Von Der Leyen ed anche ad essere determinante. Tenere fuori la Lega, e quindi lontano da Bruxelles Giancarlo Giorgetti, grande nemico del suo governo.

L’altra mossa è stata la svolta pro-Tav, che in realtà chiudeva la strada alle Autonomie. E infine il grande no a Salvini, la parlamentarizzazione della crisi che ha fermato la Blitzkrieg, la guerra lampo leghista verso il voto, e costretto il leader della Carroccio alla retromarcia.

Adesso si è messo nella condizione di staccare lui la spina, ha costruito un rapporto forte con il Quirinale, è il protagonista perfetto per un governo giallorosso Pd-M5s, e ha già dato un assaggio di quello che vuole fare con la lettera al ministro dell’Interno sulla Open Arms.

Non mettetegli fra i piedi un ministro trappolone con i tacchi ai piedi e gli scheletri negli armadi chiamato Maria Elena Boschi e vedrete che andrà lontano.

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