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Home » News

Gli italiani che hanno scelto di accogliere in casa propria i rifugiati

Immagine di copertina

Alcune famiglie in diverse città italiane hanno aperto la loro casa a venti rifugiati con il programma Refugees Welcome, TPI ha raccolto le loro testimonianze

“Quando mi sento chiedere se mi fido ad avere uno straniero in casa mi arrabbio. Affidiamo spesso i nostri anziani agli stranieri senza problemi, ma in quel caso evidentemente abbiamo bisogno di farlo e non ci facciamo tante domande”, racconta Cristina che insieme al marito Luca vive a Venezia e ha aderito al programma dell’associazione Refugees Welcome per accogliere rifugiati e richiedenti asilo nella propria casa.

S&D

Due figlie ormai adulte all’estero per lavoro o studio, e l’amore per i viaggi. Una vita intensa, una mente aperta, ma a Cristina mancava qualcosa.

“Mi sentivo inadeguata, con le mani legate, nell’impossibilità di poter fare qualcosa”, racconta. “Poi, circa un anno fa, abbiamo conosciuto l’associazione e abbiamo capito come potevamo dare un contributo. Non avevamo esperienze di cooperazione o di altro tipo, ma con l’appoggio delle nostre figlie abbiamo deciso di iniziare il percorso, senza sapere esattamente a cosa andavamo incontro. Siamo felici di aver iniziato e ora siamo pronti ad accogliere anche un’altra persona, se ce ne sarà la possibilità”.

Da due mesi la coppia ospita Mohammed, ragazzo diciottenne originario della Costa d’Avorio, titolare di protezione umanitaria. Mohammed è dovuto scappare dal proprio paese ed è arrivato in Italia dalla Libia, dove lavorava. Quando la situazione nel paese nordafricano si è aggravata Mohammed ha tentato il viaggio di fortuna verso la Sicilia dove, come tanti, è arrivato su un barcone.

“Ogni tanto racconta un pezzo della sua storia, e noi speriamo di poter contribuire a mettere a fuoco un progetto di vita, ci sta insegnando tanto anche della sua cultura”, spiega la famiglia. “È musulmano ma questo non crea problemi di convivenza, è curioso di conoscere meglio la nostra religione, e noi di sapere di più della sua”.

Mohammed studia e ha un lavoro part time in un ristorante trovato grazie ai contatti della famiglia che lo ospita. Da gennaio inizierà a frequentare un corso di formazione regionale per diventare idraulico.

“È innanzitutto un bravo ragazzo, ha voglia di lavorare e di imparare e ci sta facendo comprendere le cose importanti della vita, completamente lontane dalle logiche del capitalismo”, racconta la famiglia che lo ospita.

Il network Refugees Welcome, nato in Germania nel 2014, è arrivato in Italia a dicembre 2015. A dodici mesi dalla sua nascita la piattaforma online ha raccolto oltre 400 adesioni in tutto il territorio nazionale, raggiungendo importanti risultati. Grazie al progetto decine di rifugiati vivono oggi con qualcuno che li ha accolti e li aiuta a sentirsi a casa, anche lontano da casa.

“Abbiamo dato importanza a quella stanza vuota”, dicono invece Miriam e il marito Fabio, una delle prime famiglie che ha deciso di prendere parte al programma. Un modo per vivere il calore di una casa, a migliaia di chilometri di distanza, e provare a ripartire con la dignità che solo un contesto famigliare può dare.

La famiglia vive in provincia di Pavia, ha due figli piccoli, Simone di 11 anni e Marta di 8, e ospita da aprile un giovane nigeriano, Matthew, 22 anni, che ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari e nel suo paese ha contatti regolari con la nonna, ma non ha più i genitori.

(Una foto di Matthew con la famiglia che lo ospita a Pavia. Credit: Ilaria Blangetti)

“Volevamo condividere la solidità della nostra famiglia, fare nel nostro piccolo qualcosa per l’emergenza migranti e dare ai nostri figli un importante elemento di crescita”, commenta Miriam. “Avevamo una stanza in più che fino all’arrivo di Matthew era utilizzata solo per lo stendibiancheria. E allora perché non darle un valore?”.

Matthew frequenta un corso di italiano, arrotonda con dei lavoretti e sogna un futuro nel nostro paese, magari imparando un mestiere, quello del fabbro.

“La lingua ha rappresentato lo scoglio maggiore per la sua integrazione lavorativa perché inizialmente parlava quasi esclusivamente inglese”, continua Miriam. “Anche per questo abbiamo deciso di iscriverlo a un corso e sta migliorando tantissimo. Ci piacerebbe anche attivare una campagna di crowdfunding per supportarlo fino a giugno in questo obiettivo, grazie anche ad amici e conoscenti. Con lui infatti abbiamo stabilito una sorta di patto, lo ospitiamo e lo sosteniamo nei suo bisogni di base, ma deve mantenersi da solo per le uscite o quant’altro: insomma ci comportiamo come faremo con i nostri figli una volta maggiorenni”.

E con i bambini? “Inizialmente Marta era un po’ diffidente, ma ora gli vuole un gran bene. Matthew mostra nei nostri confronti un’immensa gratitudine e ha un approccio alla vita solare e sereno”, dice Miriam. “Un modello fantastico per i nostri figli. Per la prima volta non hanno chiesto nulla a Babbo Natale, perché sono arrivati da noi dicendoci che hanno già tutto…”.

Nel primo anno di attività dell’associazione Refugees Welcome in Italia sono stati cento i nuclei famigliari che si sono resi disponibili a ospitare a titolo gratuito, 120 quelli pronti a farlo senza limiti di tempo e sono state 20 le convivenze avviate, ospitando rifugiati in uscita dai centri e ancora non in grado di vivere in maniera autonoma, oltre ad altre partnership avviate sul territorio.

Dopo Roma, Milano e Bologna, Refugees Welcome è attiva anche a Torino, Alessandria, Genova, Padova, Modena, Reggio Emilia, Pesaro, Macerata, Firenze, L’Aquila, Catania e Cagliari e punta ad arrivare in altre città.

“Il nostro primo anno ci ha visti impegnati a trasformare un’idea semplice come aggiungere un posto a tavola in un metodo strutturato e sicuro, in grado di espandersi e crescere”, commenta Germana Lavagna, presidente e cofondatrice. “Ogni singola storia delle 20 convivenze che hanno preso vita grazie a Refugees Welcome Italia è una storia di incontro, di reciproco riconoscimento e di condivisione”.

“In tanti abbiamo figli grandi e case ormai vuote”, sottolinea Cristina, “perché non fare qualcosa per queste persone così lontane dal loro paese? Siamo un semplice aiuto, un appoggio, Mohammed ha una famiglia e speriamo un giorno di poterla andare a trovare, tutti insieme”.

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