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Buona austerity, cattiva austerity

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Esistono due diversi tipi di austerità. Perché l’Italia ha scelto quella sbagliata? Il commento di Forbes

Alberto Alesina, professore di economia politica a Harvard, e Veronique de Rugy, ricercatrice della George Mason University, analizzano il fallimento delle politiche di austerità implementate dal governo Monti in Italia.

S&D

In un articolo pubblicato sulla rivista statunitense Forbes, dal titolo “There is Good and Bad Austerity and Italy Choose Bad”, i due economisti descrivono due tipi di austerità che portano risultati diversi: l’austerità attuata mediante aumenti delle tasse – sostengono – “è nociva, mentre l’austerità che si basa su adeguati tagli alla spesa è il modo migliore per ridurre l’onere del debito pubblico di un Paese.”

Implementado le giuste riforme pro-crescita, come parte del processo di risanamento dei conti pubblici, i costi economici relativi ai tagli di bilancio si possono ridurre al minimo. Questo è particolarmente importante nel caso di economie altamente regolamentate, in cui il governo spende circa la metà del suo Pil, come accade in Italia.

A prescindere dal ruolo specifico di Mario Monti, però, “una cosa è certa: il governo italiano ha implementato il tipo sbagliato di austerità”. Perché l’Italia ha scelto l’austerità sbagliata? In che modo il governo Monti ha fallito?

In primo luogo, ha aumentato il carico fiscale sui suoi lavoratori. Il gettito fiscale ha consumato un ulteriore 2,5 per cento del Pil, per un totale pari al 45 per cento. Sebbene alcuni di questi aumenti fossero già presenti quando Monti si insediò, nel Novembre 2011, il premier uscente ha comunque scelto di continuare con gli aumenti fiscali.

In secondo luogo, con l’eccezione di una buona riforma delle pensioni, i tagli alle spesa effettivi sono stati minuscoli, tra 1 e 8 miliardi di euro, meno dell’1 per cento del bilancio di 790 miliardi.

Inoltre, le raccomandazioni della commissione governativa del 2012 – tagli importanti ai sussidi aziendali e eliminazione delle “spese fiscali” in cambio di una riduzione generalizzata della tassazione sul costo del lavoro per le imprese – sono stati ignorati. Questo ha causato l’aumento dei costi unitari del lavoro in Italia e ha aggravato ulteriormente il già alto tasso di disoccupazione.

Ancora peggio, il governo Monti non è stato in grado di attaccare in modo decisivo il grande spreco del “costo di fare politica”. “Con la scusa dell’austerità, gli italiani sono stati invitati a pagare più tasse, mentre osservavano i loro inetti politici che si godevano un lussuoso stile di vita.”

I due economisti concludono affermando che l’esperienza italiana è in linea con i risultati di un crescente corpo di letteratura accademica sul tema: “il risanamento dei conti pubblici dominato da un aumento delle tasse è una tipica ricetta per il fallimento. Non riesce a stabilizzare il debito e con grande probabilità può causare contrazioni economiche.”

Al contrario, gli “aggiustamenti di bilancio basati sulla spesa, accompagnati da riforme dal lato dell’offerta a volte possono avere un impatto positivo sulla crescita economica.

“Monti è andato nella direzione sbagliata nella sua ricerca dell’austerità: ha aumentato le tasse piuttosto che tagliare le spese, e le sue riforme sono state molto limitate. Le ricompense in Italia per le politiche inette di Monti sono un debito crescente, un’economia lenta, e un resuscitato Silvio Berlusconi.” 

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