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L’ex Milan Gambaro a TPI: “Superlega? La morte dello sport. Milan, Inter e Juve non sono più club d’élite”

Immagine di copertina
Enzo Gambaro ieri (in maglia Milan) e oggi

Enzo Gambaro (ex Milan) commenta a TPI il progetto (ormai quasi tramontato) della Superlega, e racconta i tempi d'oro del calcio europeo, svelando un retroscena sulla lite tra Gullit e Capello, che portò alla sconfitta del '93 contro il Marsiglia

“La Superlega? Senza un accordo con la Uefa, sarà solamente una serie di amichevoli di lusso! Allora le giochino ad agosto, così per un mese si affronteranno solo tra di loro”, così l’ex milanista Enzo Gambaro spiega a TPI la sua ferma contrarietà al progetto di un maxicampionato tra le big del calcio europeo.

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“In questa idea non c’è nulla di nuovo. Oggi a proporla sono club che, stando a quello che dicono i giornali, sono superindebitati e quindi cercano una soluzione ai loro problemi. Ma prima di loro è stata la Uefa ad allargare la partecipazione alla Champions League alle squadre arrivate terze, quarte e quinte nei rispettivi campionati”, osserva l’ex difensore, oggi apprezzato opinionista di Telenova.

“Questo allargamento è servito a distribuire un sacco di soldi ai club, che però non sono stati capaci di amministrarli, anche perché in alcuni casi hanno comprato dei muli pagandoli come dei purosangue. Anche se l’albo d’oro è lo stesso, nemmeno l’attuale Champions League ha lo stesso fascino della vecchia Coppa dei Campioni, per il semplice fatto che può vincerla una squadra arrivata quarta nel proprio campionato”, continua Gambaro.

Dal suo punto di vista, Uefa e Fifa oggi non possono ergersi a difensori della tradizione: “Adesso vogliono mantenere il controllo della situazione, ma il problema è a monte e riguarda anche loro. Il calcio non è fatto solo dalle grandi squadre e una competizione chiusa, alla quale non si accede per i meriti conseguiti sul campo, sarebbe la morte dello sport. Per quale motivo la Juventus dovrebbe far parte di questa competizione d’elite, visto che negli ultimi tre anni è stata eliminata da Ajax, Lione e Porto? Sarebbe ridicolo. E ancora di più lo sarebbe la presenza di Inter e Milan, che negli ultimi dieci anni hanno avuto risultati molto scarsi. È vero che il Milan è la seconda squadra più titolata d’Europa, dopo il Real Madrid, ma ormai è da tempo che si trova in difficoltà”.

Tuttavia, Gambaro non chiude del tutto all’ipotesi della Superlega, se ricondotta entro certi binari: “Bisognerebbe riprogrammare tutti i calendari, riducendo i campionati nazionali a 16 squadre (se non meno). La Superlega europea dovrebbe comunque essere sotto il controllo della Uefa e prevedere dei criteri sportivi per entrarvi. Oggi si tratta meramente di una questione di soldi e mi fa anche piacere che i calciatori di oggi possano guadagnare più di noi, però attenzione: questa è una logica di breve termine e tra cinque anni rischiamo di trovarci punto e a capo. Mi spiego: se oggi l’Atalanta valuta un suo giocatore 50 milioni di euro, alla richiesta di uno dei club della Superlega, che incassano 100 volte tanto, è ovvio che alzi alle stelle il prezzo! E dopo un po’, appunto, il problema tornerebbe a presentarsi”.

“Se proprio bisogna allargare la partecipazione al fenomeno-calcio, rendendolo sempre più globale, anche la Fifa deve rivedere i criteri di accesso ai mondiali”, aggiunge provocatoriamente. “Questa è una campagna da fare nei confronti di Gianni Infantino: se vogliamo che le nazionali caraibiche siano motivate a far crescere il movimento, bisogna fare un girone di qualificazione con dieci squadre, delle quali la prima classificata gioca la fase finale. Se invece le metti a competere con USA, Messico e Canada, è ovvio che al mondiale non ci arriveranno mai”.

Da calciatore del Milan, Gambaro ha vissuto il passaggio dalla vecchia Coppa dei Campioni al nuovo formato della Champions League, che però agli albori era molto più esclusiva: “Quando in Europa ci si sfidava solo tra campioni nazionali, ogni partita aveva un fascino unico. Ricordo la sfida sul campo dello Slovan Bratislava, nella stagione 1992/93, la prima nella storia della Champions League: anche se non conoscevo i nomi dei giocatori avversari, il solo fatto di affrontare i campioni in carica della Slovacchia diede alla sfida un fascino che certe partite di oggi non hanno!”.

E quella notte fu particolarmente felice per lui: “Mi ricordo bene quella partita: facemmo molta fatica, anche perché Demetrio Albertini fu giustamente espulso, allora Fabio Capello mi fece entrare e proprio da un mio cross nacque il gol vincente di Paolo Maldini, dopo un ‘ponte’ di Marco Van Basten! A fine partita tutta la dirigenza mi fece grandi complimenti, anche se io non valevo certo quanto Maldini e Van Basten. Ma il solo fatto di emergere in quella competizione così esclusiva significava che avevi i numeri. In quella stagione affrontammo anche il PSV Eindhoven di Romario, che Capello temeva molto: lo definiva ‘il Maradona brasiliano’ e aveva ragione. Però vincemmo noi… e lui non toccò palla!”.

La conclusione di quell’epico percorso europeo fu però piuttosto amara per il Milan, sconfitto per 1-0 dal Marsiglia in finale. “Eravamo sicuramente più forti noi dei francesi”, ricorda Gambaro. “Però prima della partita successe un episodio particolare. Allora si potevano usare solo tre stranieri in ogni partita e Capello aveva promesso a Jean-Pierre Papin che lo avrebbe portato in panchina per la sfida decisiva. Nonostante non fosse in condizioni fisiche ottimali, Van Basten doveva comunque partire titolare e l’altro posto spettava a Frank Rijkaard. Questo significava che Ruud Gullit dovesse andare in tribuna”.

“Terminato l’ultimo allenamento, la mattina della partita, sono rimasto un po’ a palleggiare e ho assistito a un duro scontro tra Capello e Gullit, che non aveva preso per nulla bene l’esclusione. Oltretutto già un anno e mezzo prima tra loro due era successo qualcosa di poco piacevole, dopo una trasferta sul campo della Juventus, ma la cosa era stata messa a tacere. Tuttavia, Capello rimase fermo sulle sue posizioni e mantenne la promessa di portare Papin in panchina, con Gullit in tribuna. Quell’episodio non fu di buon auspicio e infatti perdemmo con un gol di Basile Boli, anche se i più forti eravamo noi. Ma quella era la vera Champions League, quella delle origini, fatta solo di grandissime squadre”.

Leggi anche: 1. La bolla del calcio è esplosa: la Superlega non era avidità, ma paura di fallire / 2. Il fallimento della Superlega: senza il consenso gli affaristi e gli speculatori restano a bocca asciutta

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