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Caduti in pista: lo sci è ormai troppo pericoloso?

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Dalla Val Senales alle Ande, in meno di un anno quattro giovani atleti sono morti in incidenti in allenamento. Tra tracciati a rischio e materiali iper-performanti, queste tragedie riaccendono l’allarme sulla sicurezza

Un’altra tragedia, la quarta negli ultimi 11 mesi, ha scosso il mondo dello sci italiano e non solo. Lo scorso 14 settembre Matteo Franzoso, 25enne promessa azzurra, durante un allenamento sulle nevi delle Ande, in Cile, è rovinosamente caduto finendo sbalzato in avanti verso le reti. Ha oltrepassato due file di reti e ha sbattuto contro la staccionata posizionata 6-7 metri fuori dal tracciato della pista La Parva, a 50 km da Santiago. Una botta fortissima che gli ha procurato un trauma cranico e conseguente edema cerebrale. Raggiunto dall’elisoccorso, l’azzurro delle Fiamme Gialle, cresciuto sciisticamente al Sestriere, è stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva e indotto al coma farmacologico. Nelle ore successive, però, il fisico di Matteo non ha retto.
Una morte assurda che arriva a distanza di pochi mesi da un’altra tragedia simile: la scomparsa di Matilde Lorenzi, la giovanissima sciatrice 19enne – che Matteo Franzoso conosceva – deceduta anche lei durante un allenamento in Val Senales. Nel tragico incidente di circa un anno fa (ottobre 2024), la giovane atleta stava scendendo lungo la pista Gravand G1 quando gli sci si sono divaricati e ha perso contatto con il manto nevoso sbattendo violentemente il volto sul terreno ghiacciato. A quel punto uno degli sci si è sganciato e la ragazza è finita fuori pista. Immediati i soccorsi e il trasferimento all’ospedale “San Maurizio” di Bolzano dove poi è morta.
Incidenti simili con tragiche conseguenze tra marzo e aprile del 2025 hanno poi colpito altri due giovanissimi atleti: Marco Degli Uomini, 18enne morto durante una discesa di riscaldamento sullo Zoncolan, e la promettente nazionale francese Margot Simond, anche lei 18enne, morta per una caduta durante un allenamento in Val d’Isère, in Savoia.

Contenere i pericoli
Tutte morti evitabili che hanno fatto tornare d’attualità un tema importantissimo: quello della sicurezza nel mondo dello sci. Morire praticando lo sport che si ama non è ammissibile. C’è bisogno di fare qualcosa per evitare che tali tragedie si ripetano. «Abbiamo sperato e pregato perché Matteo Franzoso ce la facesse… Purtroppo se n’è andato, alla vigilia del suo ventiseiesimo compleanno, per un tragico incidente mentre praticava il suo amato sport. Di fronte a tanto dolore non servono altre parole. Pensiamo solo a moltiplicare l’impegno per fare ancora di più per cercare di evitare queste tragedie. Un abbraccio alla famiglia di Matteo e a quella della Fisi», il messaggio del ministro dello Sport Andrea Abodi.
Parole a cui ha fatto eco il presidente della Fisi, Flavio Roda: «È una tragedia per la famiglia e per il nostro sport, un dramma che ci riporta allo stato d’animo di poco meno di un anno fa, quando scomparve Matilde Lorenzi. È assolutamente necessario fare tutto il possibile perché non si ripetano più episodi del genere».
«La discesa libera è un mestiere pericoloso e non si può pensare che vada sempre tutto bene. Ma bisogna fare qualcosa come in F1 sul fronte della sicurezza», ha dichiarato a LaPresse l’ex discesista azzurro Kristian Ghedina. «Bisogna aumentare gli spazi di fuga e migliorare le reti di protezione. E poi si potrebbe tornare indietro, fare ad esempio dei materiali che non ti permettano più di creare velocità in curva. Oggi quando fai forza sterzante e sei in grado di sopportare la forza centrifuga prendi velocità e diventi una fionda – ha aggiunto -. Ci sono state lo scorso anno tante cadute e infortuni anche nelle discipline tecniche. Mi dicono che la Fis sta discutendo con alcune aziende per trovare situazioni per le quali gli atleti non abbiano più queste accelerazioni in curva». Servono piste più sicure? Sì, «ma farle al 100 per cento è praticamente impossibile».

Che fare?
Tutti insomma sono d’accordo sul fatto che qualcosa bisogna fare. E anche in fretta. «La morte di Matteo si poteva evitare. Non è stata una fatalità ma una mancanza di prevenzione», le parole di Adolfo Lorenzi, il papà di Matilde, che – appresa la tragica notizia – ha «rivissuto il dramma» della figlia a cui nei mesi scorsi è stata intitolata una fondazione che si occupa di sicurezza sugli sci. «È arrivato il momento di fermarsi. Le parole fatalità e disgrazia non sono presenti nel vocabolario di un atleta professionista. Non si può partire per andare a sciare e non tornare più a casa», ha invece scritto sui social Lucrezia Lorenzi, la sorella di Matilde.
Dello stesso avviso Flavio Alberti, presidente e direttore generale dello Sci Club Druscié Cortina, rimasto colpito dalle quattro morti (Matilde, Marco, Margot e Matteo) avvenute negli ultimi 11 mesi: «Non è ammissibile che queste situazioni si ripetano. Noi, come sci Club, abbiamo instaurato un rapporto con la Fondazione Matilde Lorenzi perché le finalità della Fondazione sono quella di far si che determinate cose non accadano più, però accadono… Bisogna fare di più», le sue parole a TPI. «Secondo me è fondamentale partire da un’analisi dei dati, da come sono accaduti questi incidenti. Tutti sono avvenuti in allenamento. Se negli allenamenti si vogliono riprodurre le velocità e le condizioni della gara bisogna mettersi nelle condizioni tali di far sì che ci siano tutti i dispositivi di sicurezza sulle piste di allenamento. Lo sci è uno sport rischioso certo, c’è anche dell’imprevedibilità, ma così tanti casi non è ammissibile».
Bisogna intervenire anche sui materiali? «Bisogna capire come fare per ridurre la velocità in curva. Ne ho parlato giusto qualche settimana fa con Peter Runggaldier, campione degli anni ’90, lui mi diceva che andrebbero ridotte le altezze o degli scarponi o delle piastre: riducendo l’altezza, riduco le inclinazioni. Riducendo le inclinazioni devo intervenire con i piedi nelle rotazioni e riduco la velocità in curva», aggiunge Alberti. «Io credo che bisogna lavorare su più fronti: sia con gli impiantisti, sia con i produttori dei materiali, sia con i professionisti sul campo. Se non ci sono delle condizioni non è il caso che gli allenatori si prendano determinate responsabilità».

Questione di responsabilità
Sul tema sicurezza è intervenuto anche Alessandro Garrone, vice presidente esecutivo Erg Spa e dal 2004 presidente dello Sci Club Sestriere: «Le istituzioni, le federazioni nazionali e internazionali, le associazioni, i produttori di sci e materiali di sicurezza, tutti devono sentire forte la responsabilità verso la salute e la vita degli atleti ed agire con rapidità e determinazione affinché lo sci possa continuare ad essere uno sport emozionante, spettacolare, ma con il livello di rischio consono alla disciplina. È necessario un intervento immediato e chiedo con forza che tutte le Istituzioni facciano la loro parte».
Netto infine il commento dell’ex sciatore azzurro, dal 1993 commentatore sportivo per la Rai, Paolo De Chiesa: «Matteo, un ragazzo fantastico, ha commesso un errore: ha spigolato, è partito per la tangente finendo fuori pista e andando a sbattere violentemente contro un palo di legno di una staccionata… In Coppa del Mondo queste cose non succedono perché le piste sono superprotette. Che differenza c’è tra la Coppa del Mondo e il resto dello sci dove le velocità sono quelle? Allora, o lo sci si ferma e fa tre passi indietro, o – di questo passo – insieme ai nostri ragazzi morirà anche lo sci».

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