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Pane e libertà, la storia vera di Giuseppe Di Vittorio raccontata nella serie con Pierfrancesco Favino

Immagine di copertina

Pane e libertà, la storia vera di Giuseppe Di Vittorio raccontata nella serie con Pierfrancesco Favino

Pane e libertà, miniserie in onda in replica su Rai 1 da venerdì 1 maggio 2020 con protagonista Pierfrancesco Favino, racconta la storia di Giuseppe Di Vittorio, sindacalista, politico e antifascista italiano di origini pugliesi, fra i più autorevoli esponenti del sindacato italiano del secondo dopoguerra. Si parla di miniserie perché la storia è divisa in due parti, due episodi che Rai1 ripropone come omaggio a un personaggio scomparso mezzo secolo fa e che tutt’oggi viene ricordato come il politico più conosciuto della Puglia. Ma vediamo qui di seguito qualche informazione in più sulla storia vera raccontata dalla fiction Rai Pane e libertà e sulla vita di Giuseppe Di Vittorio.

S&D
La trama completa

Giuseppe Di Vittorio, chi era il sindacalista pugliese interpretato da Favino

Nato nell’ultimo decennio del 1800, Giuseppe Di Vittorio era figlio di braccianti agricoli che lavoravano la terra dei marchesi Rubino-Rossi di Cerignola, in Puglia. Costretto a dover abbandonare la scuola dopo aver a malapena imparato a leggere e scrivere per via della morte del padre, Giuseppe dovette sostituirlo mettendosi a fare il bracciante. E’ in questo periodo che teneva un quaderno in cui annotava termini ignoti che udiva, mettendo da parte faticosamente i soldi per acquistare un vocabolario. La sua attività politica e sindacale iniziò quando Di Vittorio aveva solo 12 anni, insieme ad Aurora Tasciotti; inizialmente di idee anarchiche, passò poi al socialismo, e a 15 anni fu tra i promotori del Circolo giovanile socialista della città, mentre nel 1911 passò a dirigere la Camera del Lavoro di Minervino Murge.

Il cast completo

Sposatosi due volte, la sua prima moglie fu Carolina Morra, sindacalista e bracciante di Cerignola, dalla quale ebbe i figli Baldina, poi fondatrice dell’Associazione Casa Di Vittorio con sede a Cerignola, e Vindice, nato mentre i fascisti assaltavano la Camera del Lavoro di Bari, poi partigiano nella Resistenza Francese-Maquis. I particolari nomi dei figli esprimono le convinzioni di Di Vittorio: Baldina deriva da Balda, cioè “coraggiosa”, mentre Vindice significa “vendicatore” o “colui che vendica i torti subiti”, in riferimento allo sfruttamento e al fascismo; dopo essere rimasto vedovo, a Parigi nel 1935, si risposò nel 1953 con la giovane giornalista Anita Contini, conosciuta negli anni ’40.

La questione di cui si occupò fu quella meridionale come membro della camera del lavoro di Cerignola, meentre nel 1911 aderì al sindacalismo rivoluzionario e nel 1912 fu eletto nel comitato centrale dell’Unione Sindacale Italiana. Assegnato al 1º reggimento bersaglieri, fu ferito seriamente nel 1916 nel corso della Prima Guerra Mondiale. Finito il conflitto tornò poi segretario della Camera del lavoro di Cerignola. Di Vittorio, a cui amici ed avversari riconobbero unanimi un grande buonsenso ed una ricca umanità, seppe farsi capire, grazie al suo linguaggio semplice ed efficace, sia dalla classe operaia, in rapido sviluppo nelle città, sia dai contadini ancora fermi ai margini della vita economica, sociale e culturale del Paese.

Eletto deputato nel 1921 tra le file del Partito Socialista Italiano mentre è detenuto nelle carceri di Lucera, divenne anche direttore della Camera del Lavoro di Bari, dove organizzò la difesa della sede dell’associazione, sconfiggendo gli squadristi fascisti di Caradonna insieme con ex ufficiali legionari di Fiume, socialisti, comunisti, anarchici e Arditi del Popolo. Tre anni dopo la scissione di Livorno, nel 1924 aderì al Partito Comunista d’Italia, dove rimase fino alla morte.

Con l’avvento del Fascismo in Italia e disciolti tutti i partiti e i sindacati, venne condannato dal tribunale speciale fascista a 12 anni di carcere, ma nel 1925 riuscì a fuggire in Francia dove aveva rappresentato la disciolta Confederazione Generale del Lavoro nell’Internazionale dei sindacati rossi. Dal 1928 al 1930 soggiornò in Unione Sovietica e rappresentò l’Italia nella neonata Internazionale Contadina per poi tornare a Parigi ed entrare nel gruppo dirigente del PCI clandestino. In questo periodo iniziarono i primi dissapori con il segretario del PCI sulla figura guida di Stalin del Movimento operaio internazionale e sul suo diktat, accettato da Togliatti, contro i “socialfascisti”.

Di Vittorio quindi si pose contro la similitudine voluta da Stalin nell’equiparare il Nazifascismo alla Socialdemocrazia, anche perché considerava l’unità politica della sinistra (socialisti e comunisti) ancora attuale, in nome di un socialismo democratico, marxista ma rispettoso della libertà. Durante la guerra d’Etiopia, su indicazione del Comintern, inviò una squadra di tre persone – tre comunisti – chiamati “i tre apostoli”, fra cui Ilio Barontini, esperto in questo genere di missioni – con l’incarico di organizzare la guerriglia locale contro l’invasione fascista. Insieme ad altri antifascisti partecipò alla guerra civile spagnola,  e con il nome di Mario Nicoletti fu inquadrato come commissario politico nella XI e poi nella XII Brigata Internazionale e venne ferito a Guadalajara. Nel 1937, diresse a Parigi un giornale antifascista la Voce degli Italiani  e fu una delle poche voci autorevoli che si espresse contro le leggi razziali fasciste antisemite.

Nel 1941 fu arrestato a Parigi dai tedeschi su richiesta delle autorità italiane e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ebbe modo di ritrovare il collega e amico Bruno Buozzi, assieme al quale fu poi trasferito in Germania e in Italia. Il regime fascista lo assegnò quindi al confino nell’isola di Ventotene. Nel 1943 fu liberato dal governo Badoglio e, entrato in clandestinità dopo l’occupazione tedesca di Roma, Di Vittorio fu tra i protagonisti, con Bruno Buozzi e Achille Grandi, del dialogo per la rinascita del sindacato unitario italiano. Buozzi fu ucciso dai nazisti in fuga da Roma il 4 giugno 1944 a La Storta, cinque giorni prima della firma del Patto di Roma, con il quale venne ricostituita la CGIL. Negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza tra le file delle Brigate Garibaldi e nel 1945 fu eletto segretario della CGIL. L’anno seguente, nel 1946, fu eletto deputato all’Assemblea Costituente con il PCI.

Di Vittorio continuò a guidare la CGIL fino alla sua morte, avvenuta nel 1957 a Lecco, poco dopo un incontro con alcuni delegati sindacali. Colpito da un primo infarto nel 1948 e da un secondo nel 1956, il terzo lo stroncò all’età di 65 anni.

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