Il governo Meloni (come mezza Europa) sospende le richieste di asilo dei siriani
Prima ancora di capire cosa ne sarà della nuova Siria, divisa tra gruppi armati, organizzazioni terroristiche e potenze straniere, il Vecchio continente si preoccupa solo di evitare un’altra emergenza migratoria e di promuovere il rimpatrio di milioni di rifugiati in un Paese distrutto da 14 anni di guerra
Il regime di Bashar al-Assad è caduto ma in Siria non c’è ancora la pace, eppure il governo Meloni (come mezza Europa) ha già sospeso l’esame delle richieste di asilo dei siriani, prima ancora di capire cosa ne sarà del Paese arabo.
Il Consiglio dei Ministri, ha annunciato Palazzo Chigi in una nota, “ha stabilito, analogamente a quanto fatto da altri partner europei, di sospendere i procedimenti circa le richieste di asilo dalla Siria”. Il vertice di governo, presieduto ieri dalla premier Giorgia Meloni, aveva lo scopo di “valutare l’evoluzione della situazione in Siria, le sue prime implicazioni e le relative misure da adottare”.
“In un momento in cui i combattimenti ancora proseguono in alcune regioni della Siria, la riunione ha ribadito l’assoluta priorità attribuita all’incolumità dei civili e alla necessità di assicurare una transizione pacifica e inclusiva”, si legge nel comunicato emanato dall’esecutivo al termine del Consiglio, che riconosce la pericolosità della situazione sul campo. Ma nonostante questo sceglie comunque di fermare le procedure di accoglienza, come sta avvenendo in mezza Europa.
Analoghi provvedimenti sono stati infatti annunciati anche dalle autorità di Germania, Austria, Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svizzera, che hanno bloccato le procedure di asilo per i profughi dopo la caduta di Damasco. Da Vienna si sono ventilate addirittura le “espulsioni”, mentre Bruxelles ha assicurato che “chi si è integrato” potrà restare.
Così, prima ancora di capire cosa ne sarà della nuova Siria, divisa tra gruppi armati, organizzazioni terroristiche e potenze straniere che controllano pezzi del suo territorio, il Vecchio continente si preoccupa solo di evitare un’altra emergenza migratoria e di promuovere il rimpatrio di milioni di rifugiati.
Intanto la Turchia, che finanzia e arma da anni una parte dei gruppi ribelli, ha già aperto i valichi per chi intende tornare in patria. Molti degli oltre 6,3 milioni di siriani rifugiatisi all’estero dall’inizio della guerra nel 2011 sperano che la caduta del regime degli Assad dopo oltre mezzo secolo di potere consenta loro finalmente di tornare a casa. Ma non è così semplice.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), la situazione in Siria rimane “una delle più grandi crisi umanitarie al mondo”. Almeno 7,2 milioni di persone risultano sfollate all’interno del Paese. Altre 6,3 si trovano invece all’estero, compresi 5,1 milioni che vivono nei vicini Egitto, Iraq, Giordania, Libano e Turchia.
In quasi 14 anni di guerra, che ha provocato almeno 500mila tra morti e feriti, il Pil è crollato di circa il 90 per cento. Almeno 13 milioni di persone, più della metà della popolazione siriana, soffrono di insicurezza alimentare. Secondo la Banca mondiale poi, quasi il 96 per cento degli abitanti vive con meno di sette dollari al giorno. Oltre il 40 percento degli ospedali, secondo le Nazioni Unite, non sono più operativi. Più di 328mila abitazioni sono andate distrutte durante il conflitto e 13,6 milioni di residenti non hanno accesso ad acqua pulita e servizi igienici.
Senza contare i continui raid aerei condotti negli ultimi giorni da Israele intorno alla capitale Damasco e la persistenza sul campo (soprattutto nel sud e nell’est del Paese) di gruppi affiliati al sedicente Stato islamico (Isis), che giustificano lo schieramento di ancora un migliaio di soldati delle forze speciali degli Stati Uniti per impedire la rinascita del Califfato. Insomma, la Siria è tutt’altro che un Paese sicuro e, purtroppo, è ancora lontana dal diventarlo.