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La sindaca di origine albanese a TPI: “L’accordo sui migranti non porterà benefici per l’Italia ma solo costi”

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Sindi Manushi è la prima cittadina di Pieve di Cadore. A TPI commenta l'accordo con l'Albania per la creazione di centri per l'accoglienza dei migranti, a spese dell'Italia: "Un patto che lascia il tempo che trova, la soluzione migliore resta la redistribuzione. A voler pensar male, viste le tempistiche, potrebbe essere per Rama e Meloni un modo per togliersi le castagne dal fuoco", spiega. "Non credo che il governo si sarebbe permesso di fare la stessa richiesta ad un altro Paese occidentale e dell’Unione europea"

Un accordo della durata di cinque anni, con la possibilità di creare in Albania, a spese del nostro Paese, due centri per l’accoglienza temporanea e lo svolgimento delle procedure di richiesta di asilo o rimpatrio dei migranti salvati in mare da navi italiane. Il patto siglato tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama è attualmente al vaglio dell’Unione europea. Dura la reazione delle opposizioni. Il leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte ha parlato di “una deportazione di massa temporanea che ci costerà tantissimo, anche in termini di risorse umane”. La segretaria Pd Elly Schlein ha tuonato: “Inaccettabile che quest’intesa non passi per il Parlamento”, inoltre per la leader dem l’accordo con l’Albania “sembra in aperta violazione delle norme di diritto internazionale ed europeo”.

Abbiamo raccolto il punto di vista di Sindi Manushi, la prima sindaca di origine albanese in Italia. Avvocato, 31 anni, da giugno è la prima cittadina di Pieve di Cadore (Belluno), eletta con il Pd.

Come giudica questo patto?
“Lo trovo un accordo che lascia il tempo che trova. Un palliativo. Non mi convince innanzitutto la tempestività con cui è giunta la notizia di quest’intesa, visto che a quanto ci risulta era stata raggiunta già ad agosto, ma è stata resa pubblica solo ora. A voler pensar male si potrebbe credere che sia stato fatto di proposito, per togliere le castagne dal fuoco, in un periodo delicato sia per Rama che per Meloni, con il nostro governo alle prese con la Legge di bilancio”.

Cosa non la convince in particolare?
“In generale mi sembra che questo patto abbia avuto un clamore eccessivo rispetto alla sua reale portata. Si parla dello spostamento in Albania di tremila migranti, una percentuale decisamente ridotta rispetto al numero di persone giunte durante quest’anno nel nostro Paese. Non credo quindi sarà di grande ausilio, oltre al fatto che non c’è al momento chiarezza sui termini dell’accordo. Inizialmente si parlava di due centri, ora pare che sarà uno solo. Non è certa neppure la sua natura, cioè se si tratterà di un Cpr (Centro di Permanenza per i Rimpatri) o no. E ancora non si sanno i costi che dovrà affrontare l’Italia e come sposteranno materialmente i migranti in Albania. Ma soprattutto non si sa come faranno a eseguire circa 3000 rimpatri al mese da lì, quando l’Italia ne ha fatti 3000 in tutto l’anno”.

Il tema ha infiammato il dibattito politico, con la netta critica delle opposizioni.
“Non ne farei una questione ideologica, e sinceramente credo sia eccessivo parlare come qualcuno ha fatto di Guantanamo. Penso si tratti di un accordo che non porterà grandi benefici, ma un costo ingente per l’Italia sia a livello di capitale umano che dal punto di vista finanziario”.

Per la maggioranza con questo patto si potrà dare una boccata d’ossigeno ai centri più in difficoltà, come Lampedusa.
“Se Lampedusa è al collasso bisognerebbe creare nuovi hotspot, ma sempre in Italia. Anche perché così la gestione sarebbe più facile, anche dal punto di vista logistico”.

Per l’Albania questo accordo può essere un modo per accelerare il suo ingresso nell’Unione europea?
“Sarebbe una vana speranza, visto che i requisiti sono ben altri, non certo trattenere migranti per conto di terzi. Corruzione, giustizia, economia sono i punti su cui il Paese di Rama deve lavorare per entrare in Europa”.

Come reagiranno gli albanesi a quest’accordo? Il Paese è pronto?
“Anche se non sono abituati a scendere in piazza, gli albanesi sono molto contrariati da questo patto, come riportano i sondaggi. Sia per questioni ideologiche, sia perché non hanno gli strumenti economici e organizzativi per gestire l’accoglienza, anche perché l’Albania non è mai stata un Paese di approdo degli sbarchi”.

Pensa che dietro questo patto ci sia una sorta di atteggiamento di supposta superiorità dell’Italia nei confronti dell’Albania?
“Non penso certamente che gli italiani siano arroganti o presuntuosi. Ma al tempo stesso non credo che il governo si sarebbe permesso di fare la stessa richiesta ad un altro Paese occidentale e dell’Unione europea”.

Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del governo nei confronti delle istituzioni europee sul tema dell’immigrazione?
“Il problema va avanti da molti anni ed è giusto che l’Italia batta i pugni per ottenere maggiore solidarietà da parte degli altri Stati membri, altrimenti, come diceva Mario Draghi nei giorni scorsi, l’Unione europea si ridurrà ad essere solo un mercato unico”.

Bisognerebbe puntare di più secondo lei sulla redistribuzione dei migranti, mentre l’esecutivo sembra optare per gli accordi con i Paesi di partenza?
“La soluzione migliore è quella della redistribuzione. Già in passato sia il nostro Paese che l’Unione europea hanno tentato la via degli accordi, come con la Libia o la Tunisia, ma alla fine si sono dimostrati dei palliativi, visto che l’emergenza continua”.

Da amministratore locale, qual è il suo giudizio sull’operato del governo Meloni, in particolare sull’immigrazione?
“Sono sindaca da soli sei mesi, quindi non ho vissuto direttamente la prima parte dell’azione dell’esecutivo. Per quanto ho potuto constatare, ci sono state molte carenze organizzative e di gestione, e il peso è ricaduto sugli enti locali, che hanno dovuto far fronte all’emergenza e all’accoglienza, con poche risorse a disposizione. Possiamo dire sindaci in trincea, governo meno”.

Nel vostro comune è presente un centro di accoglienza straordinario. Come sta andando questa esperienza?
“Per il momento procede tutto bene, speriamo non arrivi la classica mela marcia che rovinerebbe il clima nel centro e anche la reputazione che i ragazzi hanno all’esterno. Si stanno dando molto da fare anche con lo studio dell’italiano”.

Chiuderei con un suo ricordo personale. Era poco più che una bambina quando dall’Albania è giunta per la prima volta in Italia. Che ricordi ha di quei momenti?
“Il viaggio è stato tumultuoso, perché il mare era molto agitato. Poi un lungo spostamento in treno da Brindisi a Pieve di Cadore. Sono comunque stata fortunata perché non ho viaggiato su un barcone ma con il traghetto, avendo tutte le carte in regola. Il primo impatto è stato difficile, perché venivo da una città industriale dell’Albania e mi sono ritrovata in un piccolo paesino di montagna. Dopo un primo anno complesso per l’adattamento, ci siamo trovati sempre bene perché siamo stati accolti e ben voluti da tutti”.

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