Landini a TPI: “Coi referendum i cittadini tornano protagonisti, ci sono leggi sbagliate da cancellare”

Intervista al segretario generale della Cgil: "Scandalosa l’assenza di informazione da parte della Rai. Il Pd? Per fortuna ha fatto autocritica e cambiato posizione rispetto al Jobs Act. La Cisl non ci sta? Non li capisco. Il Governo esulta per l’occupazione record, ma il merito è del Pnrr. E a prevalere è il lavoro povero"
Landini, l’8 e il 9 giugno si vota per cinque referendum. Ma gli italiani lo sanno?
«Da quello che abbiamo potuto riscontrare nei luoghi nei quali abbiamo svolto la campagna referendaria, una parte consistente di italiani, prima dei nostri incontri, ancora non sapeva dell’appuntamento elettorale. Purtroppo, in questo è stata determinante l’assenza di una capillare informazione da parte del servizio pubblico, ma soprattutto di approfondimento sui temi dei quesiti. È scandaloso quello che è emerso nelle scorse settimane: meno dell’1% del palinsesto delle televisioni pubbliche ha parlato di referendum. Spesso quando se ne parlava lo si faceva per dare megafono agli inviti a rimanere a casa arrivati dai partiti di maggioranza e persino dalla seconda carica dello Stato. Questi ultimi giorni saranno fondamentali per far crescere il numero di cittadine e cittadini consapevoli. Dobbiamo fare da megafono a chi vive sulla propria pelle le leggi balorde che vogliamo abrogare: si tratta di milioni di lavoratrici e lavoratori che inviteremo a votare».
In un Paese con un tasso di astensione al voto ormai prossimo al 50%, come pensate di superare lo scoglio del quorum?
«Stiamo moltiplicando le iniziative della campagna, noi come tutti i soggetti impegnati, e stiamo riscontrando una grande sensibilità. I temi su cui si chiede la partecipazione al voto sono temi concreti che interessano milioni di persone. I quesiti infatti consentiranno immediatamente, dopo l’esito del voto, di cambiare delle leggi sbagliate. I cittadini e le cittadine possono, attraverso questo voto, diventare protagonisti di uno straordinario cambiamento. Molte persone hanno smesso di votare perché non hanno visto risolvere i loro problemi soprattutto sul versante lavorativo: i diversi governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni ogni volta che intervenivano con leggi sul lavoro peggioravano qualcosa. Attraverso questi referendum abbiamo l’opportunità di rimettere al centro il valore del lavoro: non più un elemento marginale, ma fondamentale nel dibattito pubblico».
Due quesiti su cinque puntano a smontare una legge, il Jobs Act, che porta la firma del Pd, un partito che sulla carta dovrebbe puntare in primis a tutelare i diritti dei lavoratori. Non è un paradosso?
«Solo un quesito riguarda norme del pacchetto Jobs Act: quello sulla disciplina dei licenziamenti nell’ambito del contratto a tutele crescenti. E un altro, quello sul lavoro a termine, riguarda parzialmente quel pacchetto, in quanto ha subito più modifiche in questi anni: le ultime sono state di questo Governo. Fortunatamente il Pd oggi ha assunto un’altra posizione rispetto allo strappo segnato dall’abolizione dell’obbligo al reintegro in caso di licenziamento illegittimo».
Il Pd di oggi è cambiato rispetto a quello di dieci anni fa?
«Lo dicono i fatti: sul lavoro c’è stato un profondo cambiamento frutto anche di una giusta autocritica rispetto a scelte che nel corso degli anni hanno indebolito il mondo del lavoro».
Vi aspettavate un sostegno più deciso da parte dei dem in questa campagna referendaria?
«Vedo da parte del Pd, come della maggior parte degli altri partiti di opposizione, una grande attenzione a questa campagna referendaria, aldilà della scelta formale al sostegno. Soprattutto tra le militanti e i militanti di questi partiti ho visto tanta voglia di cambiare. Ma noi, in particolare, abbiamo il compito di parlare a chi a votare non ci va più. Tantissime persone che stiamo incontrando hanno perso completamente l’abitudine di votare. Questa è una ferita profonda per la democrazia del nostro Paese. Per questa ragione, l’appello al non voto dei partiti della maggioranza appare ancor più preoccupante».
Spieghiamo brevemente i quesiti che ponete. Primo: ripristinare il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiusto.
«Il cosiddetto contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act prevedeva per gli assunti dopo il 2015 il superamento dell’obbligo di reintegro nelle aziende sopra i 15 dipendenti in caso di licenziamento illegittimo. Nonostante diverse sentenze della Corte costituzionale abbiano cancellato alcuni effetti di quel provvedimento, ancora non tutta la casistica dei licenziamenti illegittimi prevede il reintegro: con il referendum i lavoratori assunti dopo il 2015 avrebbero gli stessi diritti di tutti quelli assunti prima, compreso il diritto al reintegro nel posto di lavoro. A differenza di quanto dicono alcuni, con questo quesito parliamo soprattutto a chi è stato assunto da pochi anni e a chi verrà assunto in futuro, giovani generazioni che non possono essere penalizzate mantenendo loro una condizione di precarietà anche a fronte di un contratto a tempo indeterminato».
Secondo: cancellare il tetto all’indennità in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese.
«Spesso nelle piccole imprese il ricatto del licenziamento è utilizzato per imporre salari più bassi, turni più faticosi, il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Con questo referendum si supererebbe il tetto alle indennità in caso di licenziamento illegittimo, oggi fissato a sei mensilità, per chi è stato licenziato ingiustamente nelle imprese sotto i quindici dipendenti. Come nel caso del primo quesito, anche in questo caso, si tratterebbe di introdurre un deterrente ai licenziamenti facili».
Terzo: ripristinare l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
«Il ricorso ai contratti a termine deve ritornare ad avere una causale: la sostituzione di personale, un particolare picco di lavoro, un lavoro stagionale. Senza queste causali, come accade oggi, si introduce una condizione di precarietà a prescindere dalle reali esigenze delle aziende. Noi la precarietà vogliamo batterla per dare, ripeto, un futuro soprattutto alle giovani generazioni. Non possiamo condannarle a scappare dall’Italia per cercare lavori più stabili e più remunerati all’estero. Questa condizione di ricattabilità, ma vale anche per gli altri quesiti, diviene anche una delle ragioni per le quali i salari non crescono».
Quarto: negli appalti, estendere anche al committente la responsabilità per infortuni sul lavoro.
«In questo Paese si continua a morire lavorando. Più di tre morti al giorno sono l’effetto di un sistema di fare impresa che non va bene, soprattutto quando subentrano appalti e subappalti. Nel sistema degli appalti, troppo spesso si scaricano i costi su piccole e piccolissime aziende che non riescono a garantire il rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Con questo referendum si attribuirebbe la responsabilità anche all’impresa appaltante che, a questo punto, non potrebbe più non assumersi le responsabilità su ciò che avviene nell’intero ciclo di lavoro».
Il quinto quesito propone di ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza legale in Italia per poter ottenere la cittadinanza italiana. Perché vi preme anche la questione della cittadinanza?
«Lo riteniamo un fatto di civiltà. Si tratta di persone che lavorano e pagano le tasse come tutti noi: privarle della cittadinanza è una reale ingiustizia. In alcuni settori lavorativi sono persino la maggioranza degli addetti: non possiamo trattarli come lavoratori e lavoratrici di serie B».
Avete ottenuto l’appoggio parziale della Uil, mentre la Cisl non condivide in toto la vostra iniziativa. La rottura del fronte sindacale è un problema?
«Non ho ancora compreso le ragioni di questa scelta da parte della Cisl. Confido però nella capacità di lavoratrici e lavoratori di comprendere quanto sia importante rimettere al centro il lavoro e superare le leggi peggiori che hanno creato precarietà e insicurezza».
La premier Meloni sventola numeri record sull’occupazione. Per la Cgil quei numeri non sono una buona notizia?
«Questo Governo, in termini occupazionali, sta beneficiando in particolare dell’effetto dei fondi Pnrr a cui, peraltro, in molti dell’attuale maggioranza si opponevano. Ma se guardiamo alla qualità dell’occupazione, oltre che alla quantità, ci accorgiamo che si tratta di lavoro povero in settori a scarso valore aggiunto. Con i tassi di occupazione precaria e di partecipazione delle donne al lavoro, i numeri dei part-time involontari, con i livelli salariali tra i più bassi d’Europa, non mi pare ci sia molto da festeggiare. Vedo un rischio concreto in questa fase che si chiama deindustrializzazione: si sta sottovalutando una crisi continua del settore industriale che dura da almeno due anni e che rischia di produrre degli effetti drammatici sul versante occupazionale. Serve una politica industriale europea che investa sulle nuove tecnologie e sulla transizione energetica».
Sappiamo che i dati sull’occupazione sono influenzati dall’impatto della Legge Fornero che tiene gli over 60 più a lungo al lavoro. Avete mai pensato a un referendum abrogativo di quella legge?
«Sì, vi è una crescita dell’età media degli occupati causata anche dall’allungamento della vita lavorativa. Purtroppo, l’abrogazione di quella legge non può passare da una scelta referendaria, ma da un voto del Parlamento. In questi anni in tanti ne hanno promesso l’abrogazione, ma questo Governo è arrivato anche a peggiorarla. Prendere in giro lavoratrici e lavoratori con la propaganda lo considero gravissimo. Inoltre, manca una visione di prospettiva: che pensione avranno le attuali giovani generazioni? Noi abbiamo presentato delle proposte precise non solo sul superamento della Fornero, ma anche per ricostruire un sistema equo e che garantisca a tutti una pensione, ma non abbiamo ancora avuto risposte».
Chiudiamo con la proposta del Salario minimo legale. Prima eravate contrari, oggi siete favorevoli. Perché?
«Il salario minimo, insieme a una legge sulla rappresentanza, rappresenterebbe una misura necessaria per incrementare tutti i salari e per superare le cause di dumping contrattuale che si genera quando si moltiplicano i contratti nazionali sottoscritti da sigle non rappresentative. Esistono tantissimi contratti sottoscritti da sigle sindacali e datoriali assolutamente minoritarie, quelli che definiamo contratti pirata, che potrebbero essere fortemente limitati attraverso queste due soluzioni. Su questo il Governo è drammaticamente latitante e non ha ancora colto l’emergenza salariale che stiamo attraversando».