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Home » Politica

Guerra ai poveri: il piano della destra per smantellare il Reddito di cittadinanza

Immagine di copertina

Il Governo Meloni abolirà il sussidio. Saranno assistiti solo gli inabili al lavoro. Le altre 900mila persone che oggi campano grazie al Rdc dovranno arrangiarsi senza l’aiuto dello Stato. Benvenuti nell’era di Giorgia

La guerra ai poveri sta per essere sferrata. Appena Giorgia Meloni e i suoi “fratelli” si insedieranno a Palazzo Chigi, il nuovo Governo inizierà a pianificare nel dettaglio l’assalto contro il baluardo nemico: l’odiato Reddito di cittadinanza, fonte – a dir del centrodestra tutto – di innumerevoli sciagure per l’economia italiana (eppure l’Istat ha calcolato che, grazie a questo sussidio, durante la pandemia un milione di persone sono state salvate dalla povertà assoluta). Si procederà con una strategia articolata in più fasi: il sussidio sarà dapprima leggermente modificato, poi smontato poco alla volta, fino ad arrivare alla sua completa abolizione.

S&D

Conclusa l’offensiva, dovrebbe sopravvivere solo una forma di assistenza per minorenni, anziani, disabili e altre categorie fragili: ovvero quei cosiddetti “inabili al lavoro” che rappresentano da soli ben due terzi della platea di chi percepisce il Rdc. Per tutti gli altri – poveri in canna o meno che siano – il sussidio sarà eliminato: sicché quelle circa 900mila persone che sarebbero in grado di lavorare ma che oggi campano solo grazie alla card dell’Inps resteranno con un pugno di mosche in mano. Una mazzata che rischia di essere letale per molti, in un momento in cui, per di più, già si è costretti a fare i conti con i rincari al supermercato e le bollette da capogiro di luce e gas.

«Sinceramente non so davvero come faremo», sospira Susetta Formicola, 46 anni, che abita in un alloggio popolare a San Giovanni a Teduccio, quartiere alla periferia est di Napoli. «A casa – racconta – siamo in sette: io, le mie due figlie grandi, l’altro mio figlio di 10 anni e i miei tre nipotini. Di lavoro, qui, non ce n’è: tiriamo avanti solo grazie al Reddito di cittadinanza, prendiamo 1.025 euro al mese. Non a testa, eh: mille euro per noi tutti, tre adulti e quattro bambini».

La signora Formicola è separata, il suo ex marito fa lavoretti saltuari, lei per anni si è barcamenata facendo le pulizie a casa di qualche conoscente, o assistendo bambini e anziani. Sempre, inesorabilmente, in nero. Ora che percepisce il Rdc è impiegata come volontaria per il Comune di Napoli: otto ore alla settimana a ripulire aree verdi comunali. È iscritta al centro per l’impiego, ma in due anni e mezzo non ha mai ricevuto alcuna offerta di lavoro né è stata invitata a svolgere corsi di formazione. «La vita sta diventando sempre più cara, già adesso i soldi non bastano mai e bisogna fare i salti mortali», lamenta. «Non oso immaginare cosa accadrebbe se ci togliessero il Reddito».

Ma la linea d’attacco di Fratelli d’Italia ormai è decisa. Ed è proiettata molto più verso un conservatorismo neoliberista alleato degli imprenditori che non alla classica destra sociale statalista. «La filosofia generale che ci anima è: assistere le persone inabili al lavoro e dare un’occupazione a chi può lavorare», si limita a dire a TPI l’onorevole Fabio Rampelli, uno dei “colonnelli” del partito di Meloni. Dopo settimane di campagna elettorale a caccia di spazi mediatici, negli ultimi giorni è improvvisamente diventato complicatissimo riuscire a parlare con i parlamentari di FdI: bocche cucite, mentre la futura premier tratta con gli alleati sulle caselle dei ministeri.

Certo, però, quell’obiettivo di «dare un’occupazione a chi può lavorare» si annuncia quantomeno difficile da realizzare, in un Paese come il nostro che da dieci anni convive con un tasso di disoccupazione intorno al 10%, con punte del 30% tra i giovani al Sud, e che ha alle spalle una storia di croniche inefficienze nelle politiche attive del lavoro. Senza contare che già oggi il 20% dei percettori stabili del Rdc un lavoro ce l’ha, ma con una retribuzione talmente bassa da rendere necessaria un’integrazione da parte dello Stato.

Lo stop al Reddito per gli “abili al lavoro”, peraltro, è traguardo fissato per il medio-lungo periodo. Nell’immediato, la prima cannonata al sussidio potrebbe arrivare con una norma da inserire già in Legge di Bilancio: tra le ipotesi sul tavolo c’è quella di far decadere il diritto all’assegno se si rifiuta una sola offerta di lavoro sull’intero territorio nazionale. Un punto, questo, sul quale già il Governo Draghi nei mesi scorsi aveva introdotto una stretta: originariamente, infatti, il Rdc era revocato alla terza offerta di lavoro congrua (quindi anche non troppo distante dalla propria città) rifiutata; dall’inizio del 2022, la soglia si è abbassata a due rifiuti, e dopo il primo vengono scalati 5 euro al mese dall’assegno sociale. Adesso, con la salita al governo del centrodestra si potrebbe perdere il diritto al Rdc già al primo rifiuto, da qualunque parte d’Italia arrivi l’offerta di lavoro.

Questa possibile novità «francamente mi fa quasi ridere», commenta la sociologa Chiara Saraceno, che l’anno scorso ha presieduto la Commissione di esperti insediata dal ministero del Lavoro per valutare i pro e i contro del Reddito di cittadinanza. «Me lo vedo proprio, guardi, l’imprenditore di Trieste che va a cercare il lavoratore a Messina… Fra l’altro bisognerebbe anche verificare se il lavoro che viene offerto è così ben pagato da consentire di spostarsi dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia, magari per un contratto a termine. Non crede?».

Dopo un lungo lavoro di analisi, a novembre 2021 la Commissione Saraceno ha concluso che il Rdc è uno strumento «essenziale», sebbene mostri alcune «criticità» (ad esempio, le famiglie con minorenni sono svantaggiate nell’importo che ricevono; molti stranieri ormai stabilmente residenti in Italia sono esclusi dal sussidio; e i centri per l’impiego, come tristemente noto, non funzionano). «Già com’è oggi, il Reddito di cittadinanza non arriva a tutte le persone in povertà», spiega a TPI la professoressa Saraceno. «In una situazione come quella attuale, in cui si va incontro a un periodo non facile sul mercato del lavoro e sui bilanci famigliari, operare un taglio su questo sussidio non mi sembra un’idea geniale, ma selvaggia».

Saraceno, una vita spesa a combattere la povertà, non vede di buon occhio l’approccio al tema da parte della nuova maggioranza di governo: «Mi sembra frutto di una visione moralistica e astratta del mercato del lavoro», osserva. «Anche chi è “abile al lavoro” avrà pur diritto di mangiare, no? E poi c’è un fraintendimento di fondo: il Rdc non è destinato ai singoli individui, ma a nuclei famigliari.

Come facciamo per i figli piccoli di chi è “abile al lavoro” ma così povero da non riuscire a mettere un piatto in tavola?». «Fare delle politiche attive del lavoro – prosegue la professoressa – non significa solo mettere insieme sulla carta domanda e offerta, ma anche formare, parlare con le imprese, fornire consulenza a chi cerca lavoro, e così via. È una faccenda un po’ più complessa di come la raccontano».

Eppure nel centrodestra assicurano di avere molte frecce nell’arco per trovare un lavoro a tutti coloro che perderanno il diritto al Reddito di cittadinanza: «Ad esempio dando più poteri ai Comuni nel matching fra domanda e offerta, ma anche rafforzando gli incentivi alle aziende per assumere queste persone», dice al nostro giornale il deputato leghista Claudio Durigon, che nel 2019, quando il Rdc fu varato dall’allora governo gialloverde, era sottosegretario al ministero del Lavoro (e la Lega diede voto favorevole al decreto che introdusse il Reddito). «Nella nuova legislatura ci metteremo subito all’opera», promette Durigon. «Va rafforzato l’inserimento nel mondo del lavoro per far sì che si passi dall’avere un Reddito di cittadinanza a un reddito da lavoro». «Ma l’offerta congrua è una», sentenzia. «Se non la accetti, sei fuori».

Mentre nel programma elettorale di Fratelli d’Italia si parla esplicitamente di «abolire il Reddito di cittadinanza», in quello della Lega si usano toni più morbidi come «modifica» e «revisione». Ma si tratta di differenze minimali: nel programma della coalizione di centrodestra l’obiettivo dichiarato è attuare una «sostituzione dell’attuale Reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro». E in questa annunciata opera di smantellamento, Meloni, Salvini e Berlusconi trovano una sponda decisiva nella Confindustria di Carlo Bonomi, che da anni martella contro il sussidio ai poveri, talvolta scambiato per un mero strumento di politica attiva del lavoro talaltra accusato di essere un «competitor» per le imprese che hanno uno stipendio da offrire (benché l’importo medio del Rdc sia di appena 580 mensili per nucleo famigliare).

«Chi attacca il Reddito di cittadinanza non ha ancora capito che non siamo più nell’era industriale, ma in quella post-industriale», sbuffa il sociologo Domenico De Masi, tra i primi in Italia a sostenere la necessità di una misura di assistenza diretta alle fasce più indigenti della popolazione.  «Fra i Paesi dell’area Ocse, noi siamo stati gli ultimi a introdurla, e per giunta fissando l’importo più basso». «Nella società industriale – fa notare De Masi – un giovane entrava in fabbrica a 20 anni e ci rimaneva fino ai 60: per tutto quel tempo aveva la sicurezza di un posto e degli scatti di carriera e di stipendio; tutto era previsto e prevedibile. Oggi invece tra i 20 e i 60  anni si fanno quattro o cinque lavori diversi, se non di più: e allora, per chi ha la possibilità di lavorare, il Reddito di cittadinanza serve come ammortizzatore sociale nei periodi in cui si è senza un’occupazione».

L’ong Oxfam, impegnata in tutto il mondo nella lotta alle disuguaglianze, non nasconde la propria preoccupazione: «Mentre non è ancora noto come il nuovo Governo intenderà agire contro il caro-energia e il caro-vita, desta allarme la sottovalutazione dei divari economici e sociali che lacerano il nostro Paese e l’indifferenza verso efficaci ed eque misure politiche redistributive e pre-distributive in grado di porvi rimedio», ragiona il policy advisor dell’organizzazione Mikhail Maslennikov. «Preoccupano inoltre le sorti del Reddito di cittadinanza, che, invece di essere reso uno strumento di contrasto alla povertà più equo ed efficiente, rischia la cancellazione». La guerra ai poveri, insomma, è dichiarata. E la prima bomba a esplodere sarà quella sociale.

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