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C’era una volta Franceschini, l’ex uomo forte del Pd ora ridimensionato dall’arrivo di Letta e Draghi

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Il ministro della Cultura Dario Franceschini. Credit: Ansa

Fra governo Draghi e la segreteria di Enrico Letta, chi sembra accusare qualche problema è Dario Franceschini. Ai tempi di Conte e Zingaretti la faceva da padrone sia al governo (era capodelegazione del Pd) che al Pd. Poi è arrivato Draghi: abolita la figura di capodelegazione (anzi, l’uomo forte del partito nell’esecutivo ora è Orlando).

Inoltre a Franceschini è stata tolta anche l’importante delega del Turismo. Due botte in un colpo solo. Poi è arrivato Letta neosegretario. Al Nazareno si ricorda che, oltre a Renzi, fu proprio Franceschini a votare contro Enrico nel 2014. E forse allora non è un caso che i due vicesegretari scelti da Letta siano uno orlandiano (Provenzano) e l’altra, Irene Tinagli, vicina a Calenda e Base Riformista. Di Franceschini si sono perse le tracce. Anche nella nuova segreteria, su 18 nominati, solo 2 sono vicini al Ministro della Cultura (Chiara Braga e Manuela Ghizzoni).

Ecco perché si dice che Franceschini stia tanto insistendo con il “suo” Sassoli per fargli accettare la candidatura a sindaco di Roma: potrebbe riottenere localmente il potere che ha perso nazionalmente. Ma da cosa dipende questa perdita di peso politico per un uomo da sempre abituato a galleggiare nei meandri del potere? “Letta non vuole delegare ai capicorrente, preferisce fare da solo. Sa benissimo che se gli dai un dito si prendono tutto il braccio” spiega chi conosce bene il pisano. E poi, soprattutto, c’è la partita delle partite, quella con vista Quirinale. I due, Letta e Franceschini, potrebbero addirittura ritrovarsi in competizione (il Colle è il sogno segreto di entrambi). Quindi meglio far capire subito chi comanda.

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