Fratoianni a TPI: “Conte caduto per il Pnrr, ma Draghi lo ha gestito anche peggio”
“Siamo di fronte a uno scandalo inaccettabile. L’ultima versione del Pnrr ci è stata consegnata alle 14 di oggi, due ore prima che il presidente del Consiglio prendesse la parola, poi qualche ora di dibattito e domani il voto. Ma si tratta piuttosto di una ratifica”, così il deputato e segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni a TPI nel giorno in cui il premier Mario Draghi ha presentato alla Camera la bozza del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza che entro venerdì 30 aprile dovrà essere trasmesso alla Commissione Europea.
Onorevole Fratoianni, le prime bozze del Pnrr sono iniziate a circolare venerdì scorso, la trasmissione a Bruxelles è in programma venerdì prossimo. La discussione di oggi alla Camera è stata solo un proforma?
Un proforma è un’espressione gentile. Non siamo di fronte a un processo di discussione o a un momento di partecipazione, ma a una ratifica. Tutto questo accade sul documento più importante per il futuro del Paese, quel Pnrr oggetto dello scandalo nei confronti del governo Conte accusato appunto di non aver costruito processi sufficientemente trasparenti e fatto cadere. In questo senso le modalità con cui siamo arrivati oggi a questa discussione sono particolarmente gravi.
La gestione è stata assai peggiore, anche perché quella prima stesura aveva avuto un percorso di discussione e confronto certamente migliore. Essendo quella bozza pronta il 20 gennaio e essendo il termine di consegna il 30 aprile, se non ci fosse stata la crisi di governo avremmo avuto quasi tre mesi per sviluppare un adeguato processo di partecipazione innanzitutto con il Parlamento, ma anche con le energie vitali della cittadinanza italiana, le parti sociali, un percorso più trasparente. Da questo punto di vista siamo di fronte ad una brutta figura di un governo fatto per cambiare passo, ma come si vede dal passo lento e incerto.
Perché abbiamo per qualche giorno ricevuto stralci del piano al mercato nero della politica e della comunicazione. Ci siamo trovati di fronte a un documento trasmesso alle camere solo nel tardo pomeriggio di ieri salvo subire ulteriori modifiche per arrivare alle 14 di oggi alla discussione del Parlamento nella sua forma pressoché definitiva.
Vedo due tipi di problemi, il primo riguarda l’impostazione complessiva, che in parte riguardava anche il Piano precedente, cioè manca l’indicazione di una riforma radicale del nostro modo di organizzare la vita, il lavoro, il tempo, ripensando ad un modello di sviluppo. Il Pnrr avrebbe dovuto mettere al centro delle riforme che prevedessero la riduzione dell’orario di lavoro, la parità di salario, cioè meccanismi in grado di ridefinire il rapporto tra vita e lavoro, e poi il rapporto con la comunità. Poi ci sono problemi ulteriori di dettaglio, l’assenza quasi completa di politiche per potenziare l’edilizia popolare o agevolata: non si risponde ai problemi delle 150mila famiglie italiane in attesa di una casa, che non ne ricevono una perché non ci sono. Anche la sanità territoriale avrebbe dovuto ricevere una dose di risorse più significativa, così come il Mezzogiorno. Draghi ha rivendicato l’orgoglio di aver destinato il 40 per cento al Mezzogiorno. Io credo che per la storia di questo Paese quella quota avrebbe dovuto crescere ulteriormente. Sono molti gli elementi di divergenza, ma i problemi più rilevanti riguardano l’impianto di fondo e il metodo che ci ha portato sin qui.
In parte certamente quella a cui assistiamo oggi è un’occasione persa rispetto alla possibilità e al bisogno che avevamo di quelle risorse. La transizione ecologica, per esempio, rischia sempre più di rivelarsi un’operazione di green washing. Ma su questa occasione sarà necessario continuare a battersi in Parlamento e nel Paese, per limitare i danni.
Abbiamo un grande problema che riguarda l’equilibrio dei poteri e il rapporto tra esecutivo e legislativo, tra governo e parlamento. Il problema è molto serio, non comincia oggi e sarebbe ingiusto additarlo a questo governo, che però lo interpreta in continuità anzi lo aggrava perché lo pratica sul terreno fondamentale di una misura strategica come quella del Recovery Fund e non di semplice decreto di contesto. Occorre rimettere in discussione questo profondo squilibrio: è un percorso lungo che impone la ridiscussione di leggi elettorali in senso proporzionale e lo smantellamento radicale e profondo di una vera ideologia, che in questi decenni ha esaltato il potere esecutivo in nome della rapidità delle decisioni, della semplicità delle scelte, della semplificazione, della necessità di tutelarsi dai lacci del dibattito e del confronto. Tutte ipotesi scellerate che alla lunga non fanno altro che deteriorare la qualità e l’intensità della nostra democrazia.
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