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Matteo Piantedosi: chi è il prefetto di ferro in pole per il Viminale

Immagine di copertina
credit: Andrea Ronchini - AFP

L’ex capo di gabinetto del ministero ai tempi di Salvini è uno dei nomi che circolano per il Viminale. Sentito nel 2019 sul caso Open Arms diceva: “Ma perché devono andare tutti in Italia?”. L'articolo sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale, in edicola da venerdì 7 ottobre

«Ma perché devono andare tutti in Italia? Mettiamo pure che sia una richiesta di Pos (place of safety, porto sicuro, ndr). Noi abbiamo contestato non l’illegittimità in assoluto della concessione del Pos ma perché in Italia, per un intervento fatto in acque Sar libiche, peraltro rifiutato di farlo sotto il coordinamento…». È il 2 ottobre del 2019 e, negli uffici del servizio centrale operativo (Sco) della polizia, a Roma, i magistrati in forza alla procura di Agrigento, Cecilia Baravelli, Luigi Patronaggio e Salvatore Vella, ascoltano in qualità di persona informata dei fatti l’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, che fino all’agosto di quell’anno aveva rivestito l’incarico di capo di gabinetto del ministero degli Interni guidato dal senatore della Lega, Matteo Salvini. E che oggi, mentre si attende l’inizio della nuova legislatura e la formazione del governo che sarà presumibilmente guidato da Giorgia Meloni, è il candidato tra i più quotati a ricoprire l’incarico al Viminale. I fatti di cui l’attuale prefetto di Roma era informato, e per i quali è stato interrogato per quasi due ore dai magistrati siciliani, sono accaduti nell’agosto del 2018. Per quelle vicende, il suo ex capo, Matteo Salvini, è tuttora sotto processo al tribunale di Palermo, perché, secondo quanto ipotizzato dai giudici, l’allora comandante in capo del Viminale avrebbe «abusato delle funzioni amministrative attribuitegli nell’iter procedurale per la determinazione del place of safety, omettendo di indicarlo e vietando in tal modo lo sbarco dei migranti pervenuti in prossimità delle coste italiane a bordo della nave Open Arms».

A seguito di quell’interrogatorio, e dopo che l’inchiesta era stata trasferita al tribunale di Palermo competente per i reati ministeriali, il procuratore capo, Francesco Lo Voi, il 27 novembre del 2019, aveva chiesto di procedere ad indagini anche nei confronti del prefetto Matteo Piantedosi, ipotizzando anche a suo carico i reati di «plurimo sequestro di persona aggravato, e rifiuto di atti di ufficio». Quando però la richiesta di rinvio a giudizio viene trasmessa al Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere, è lo stesso procuratore capo a precisare negli atti che «la posizione del prefetto Matteo Piantedosi, originariamente iscritto nel registro notizie di reato per concorso nei reati attribuiti al senatore Salvini, è stata oggetto di archiviazione».

Piantedosi pensiero

E, tuttavia, al di là dei risvolti penali, l’interrogatorio di cui si diceva all’inizio appare utile a ricostruire il “Piantedosi pensiero” nei giorni in cui si fa strada la sua candidatura per ricoprire l’ambito incarico sul colle del Viminale. In particolare, vi è un lungo braccio di ferro verbale instaurato con il magistrato Luigi Patronaggio che è emblematico in tal senso. Incalzato dal magistrato, Piantedosi ribatte: «Noi abbiamo sostenuto, in questo caso, che dovessero andare in Spagna perché erano saliti a bordo di un naviglio battente bandiera spagnola in acque internazionali; sono stati lì 20 giorni». È poi ancora lo stesso alto funzionario a ribadire ai magistrati: «C’era un pericolo per la sicurezza pubblica, un arrivo indiscriminato di persone, e la sequenza storica dimostra che qualche volta sono giunte anche persone poi coinvolte in attività terroristiche». Dunque, anche per Piantedosi, come per Salvini, tra le 151 persone a bordo della Open Arms potevano esserci potenziali terroristi, nonostante la relazione psicologica dei medici di Emergency, ora agli atti del processo di Palermo, segnalasse che «la situazione che stanno vivendo i migranti richiede un tempestivo intervento, a causa della vulnerabilità presentata e per i fattori contingenti di vita a cui sono esposti si auspica una immediata evacuazione/sbarco dell’intero gruppo». Ma c’è di più.

Circolari dure

Che l’attuale prefetto di Roma abbia manifestato negli ultimi anni un duro approccio rispetto alla tutela dei diritti per le persone più vulnerabili, lo dimostra una circolare che porta la sua firma, emanata il 18 dicembre del 2018, a pochi giorni dall’entrata in vigore dei cosidetti “Decreti Sicurezza”. «Più che un documento tecnico di attuazione delle norme quell’atto sembra un vero e proprio manifesto politico», fa notare Loredana Leo, avvocata esperta in protezione internazionale di Asgi, l’Associazione dei giuristi per l’immigrazione. In effetti, a leggere le diciotto pagine del documento si ha la conferma di quanto sostenuto dalla legale. Sulla gestione dell’ordine pubblico, per esempio, la circolare Piantedosi vantava: «l’introduzione di una novità di assoluto rilievo nella disciplina in materia di occupazioni arbitrarie di immobili, fonte di gravi tensioni sociali e di situazioni di illegalità, specie nelle grandi città». Cioè, la regola introdotta nei Decreti Sicurezza la quale stabilisce che il Prefetto provvede immediatamente all’esecuzione dello sgombero dandone comunicazione all’Autorità giudiziaria. Proprio le nuove normative «sulla sicurezza e gli indirizzi sull’occupazione arbitraria degli immobili» fortemente volute dalla coppia Salvini-Piantedosi, hanno dato l’impulso nell’estate del 2019 ad un piano di interventi di sgombero nella Capitale predisposti dall’allora prefetta, Gerarda Pantaleone, in relazione a 23 immobili dove vi abitavano, complessivamente, qualche migliaio di persone.

L’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, con una circolare firmata ad aprile di quest’anno ha aggiornato la lista, portando a 29 il numero degli immobili da liberare anche manu militari. «A Roma la questione del diritto all’abitare negli ultimi anni non è mai stata affrontata seriamente, considerandone tutte le ricadute sociali. L’ultima interlocuzione degna di questo nome c’è stata con il prefetto Carlo Mosca tra il 2007 e il 2009», dice a TPI Angelo Fascetti, responsabile nazionale di Asia Usb. «Il prefetto Piantedosi non l’abbiamo mai incontrato. Si sarebbe dovuto tenere un incontro con lui agli inizi di agosto, perché gli avevamo rappresentato come sindacato la grave situazione in cui versano migliaia di famiglie colpite dagli sfratti, ma poi l’incontro è stato rimandato e non se ne è più fatto nulla», continua Fascetti, facendo notare che «in una città in cui si trovano quasi 200mila persone in uno stato di disagio abitativo, la volontà del prefetto di procedere senza mediazioni con gli sfratti e gli sgomberi avrebbe l’effetto di mettere in strada migliaia di persone».

Nel frattempo, c’è chi come il quotidiano Il Foglio, in un ritratto che risale a qualche anno fa, ha descritto l’attuale prefetto di Roma lontanissimo dalle idee politiche di Salvini. Anche se, in verità, il “Piantedosi pensiero” descritto in queste pagine sembrerebbe smentire questa ricostruzione. E, mentre rimane ancora un’ipotesi il suo approdo al Viminale, di certo potrebbe caratterizzarsi come l’approdo di un altro degli “avellinesi” sui banchi del governo italiano. Dopo Fiorentino Sullo, Ciriaco De Mita, Antonio Maccanico, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, ora toccherebbe al “prefetto di ferro”.

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