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Idrogeno (finto) verde

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Il Campidoglio vuole sperimentare nuovi mezzi a energia pulita. Ma la tecnologia usata non è quella raccomandata da Bruxelles, perché contempla la produzione di rifiuti non riciclabili e a lungo andare insostenibili. Alla faccia dell’economia circolare

La giunta capitolina ha annunciato una sperimentazione con 30 autobus a idrogeno. Come verrà prodotto l’idrogeno per alimentarli? L’assessore alla Mobilità di Roma Capitale, Eugenio Patanè, ha spiegato che è prevista la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili con elettrolizzatori da prodursi nello stesso stabilimento di Acilia dell’Atac dove verranno tenuti gli autobus, “per la produzione in autonomia dell’idrogeno verde”. Ha poi aggiunto: «Parallelamente stiamo valutando l’ipotesi di sfruttare l’idrogeno verde prodotto dai rifiuti in un processo virtuoso di economia circolare».

S&D

Il riferimento è a un progetto della NextChem, società della multinazionale Maire Tecnimont, cui è stato assegnato un contributo a fondo perduto di 194 milioni di euro di fondi europei per realizzare il primo impianto “waste to hydrogen” al mondo.

Qui le cose si complicano notevolmente, perché l’idrogeno prodotto da rifiuti urbani non smaltibili non è catalogabile come “verde” secondo la strategia europea. E infatti l’Eurodeputato Ignazio Corrao, del gruppo dei verdi al Parlamento Europeo, ha presentato un’interrogazione proprio a questo proposito. «Vista la gerarchia dei rifiuti, prevista dal piano d’azione per l’Economia Circolare (basata sulla direttiva rifiuti 98/2008), che prevede la progressiva eliminazione della frazione non riciclabile dei rifiuti solidi urbani, mentre ai sensi della COM(2020) 301 final non può in alcun caso considerarsi “pulito” l’idrogeno prodotto da rifiuti, può la Commissione far sapere se è informata che 194 milioni di fondi europei dell’Ipcei Hy2Use stanno finanziando un progetto per la produzione di idrogeno da rifiuti e in caso affermativo, se sia stata fatta una valutazione di impatto ambientale, sociale, economico del progetto?», si legge nel testo dell’interrogazione. 

Uno spreco di fondi 

«Stiamo assistendo all’ennesimo spreco di fondi europei. Infatti l’Ue rischia di finanziare ricerche e applicazioni non in linea con i suoi stessi obiettivi. In posti come Roma (o la Sicilia) bisogna essere estremamente rigorosi nell’applicare le strategie europee. Invece qui si sta finanziando un impianto per produrre idrogeno da rifiuti, un doppio errore sia perché è contrario alle strategie europee, sia perché è insostenibile a medio e lungo termine,  quando i rifiuti non riciclabili andranno a diminuire drasticamente», ha dichiarato l’eurodeputato a TPI. Ma le reazioni sono arrivata anche da Roma, dove Il capogruppo di Fratelli d’Italia all’assemblea capitolina, Giovanni Quarzo, ha presentato a sua volta un’interrogazione in cui domanda in base a quale normativa europea si ritiene finanziabile con fondi europei la produzione di idrogeno da rifiuti e «se si ritiene compatibile l’investimento in una tecnologia che usa i rifiuti come fonte primaria per la produzione di idrogeno a fronte di una strategia di progressiva riduzione rapida dei rifiuti non riciclabili che potrebbe presto generare una situazione di assenza di materia prima per la produzione di idrogeno». Vediamo che famiglie politiche diversissime fra loro sono unite nell’opposizione alla produzione di idrogeno da rifiuti, contribuendo ad aumentare la confusione in un settore dove invece ci sarebbe bisogno di fare chiarezza.

E proprio a questo scopo conviene dunque fare un passo indietro. Innanzitutto bisogna tener presente che la strategia europea per l’idrogeno non nasce oggi, ma nel 2005, quando l’allora Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e la neo eletta cancelliera Angela Merkel, decisero di adottare la visione proposta da Jeremy Rifkin nel suo libro “Economia all’Idrogeno”, per una rapida transizione energetica verso l’idrogeno come sistema di accumulo per ovviare al problema della discontinuità della produzione di energia da fonti rinnovabili. Inizialmente la strategia fu limitata alla ricerca, perché l’energia non era prevista fra le materie di competenza comunitaria. Successivamente le cose cambiarono e nel 2010 l’Europa adottò una strategia energetica, conosciuta come “Pacchetto Clima e Energia 20-20-20” che prevedeva al 2020  la riduzione del 20 per cento di gas climalteranti, l’aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica  e il 20 per cento in più di energia rinnovabile rispetto al 1990. 

Dal Green New Deal Europeo alla crisi energetica

Con la nomina di Ursula von der Leyen nel 2019, questa strategia subì un’ulteriore accelerazione e venne approvato il Green Deal Europeo, ispirato alla visione proposta da Rifkin con il suo Libro “Il Green New Deal globale”. Il Green Deal Europeo prevede che l’Europa sia a zero emissioni entro il 2050, grazie a un insieme di strategie interconnesse che spaziano dall’energia pulita accumulata attraverso le tecnologie dell’idrogeno (Comunicazione COM 301/2020), alla sostenibilità in agricoltura, all’edilizia energeticamente efficiente, ai trasporti a emissioni zero,  all’economia circolare senza rifiuti, alle bonifiche dei siti inquinati e al ripristino della biodiversità danneggiata dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. 

Nel 2020, in reazione alla crisi innescata dalla pandemia, von der Leyen ha proposto il pacchetto Fit For 55 che innalza dal 40 al 55 per cento le emissioni da tagliare entro il 2030, proibisce l’immatricolazione di auto a benzina dopo il 2035 e prevede una accelerazione nelle politiche di efficienza energetica nell’edilizia (cosa su cui si è innescata una paradossale  polemica in Italia). 

Infine, in reazione all’invasione russa dell’Ucraina, la Commissione ha approvato il programma REPowerEU per rendere l’Europa indipendente dal gas (da tutto il gas, non solo quello russo) accelerando gli obiettivi della transizione energetica, inclusi quelli per l’idrogeno verde, e prevedendo una nuova strategia industriale (Net Zero Industry Act) annunciata da von der Leyen a Davos il 16 gennaio e presentata a Bruxelles il primo febbraio. 

Il piano d’azione europeo per l’Economia Circolare prevede una precisa gerarchia dei rifiuti, con la progressiva riduzione quasi a zero della frazione non riciclabile, mentre la comunicazione sull’idrogeno stabilisce senza ambiguità che non può in alcun caso considerarsi “verde” l’idrogeno prodotto da rifiuti. Rifiuti che peraltro diventano sempre di meno «in un sistema mostruoso in cui ormai ci sono più forni che rifiuti da bruciare»,  ricorda Marco De Angelis, consigliere regionale in Lombardia. «Nei 12 inceneritori attivi in Regione vengono bruciati 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui 2,8 “prodotte” in Regione e le restanti 2,4 “importate” da fuori regione per placare l’appetito del “mostro”. Siamo a un paradosso: ormai bisogna produrre rifiuti per alimentare gli inceneritori e giustificarne la spesa facendo fare profitti ai loro azionisti», conclude De Angelis.  Alla luce di tutto questo i casi sono due: o l’Europa si è distratta e non si è resa conto che stava concedendo 194 milioni di euro a una multinazionale della chimica per fare idrogeno dai rifiuti contrariamente alle sue stesse strategie, o le lobby dei rifiuti sono ancora molto potenti, a Bruxelles come a Roma. Vedremo cosa gli eurocrati si inventeranno per rispondere alla politica che li interroga.

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