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Varoufakis a TPI: “L’austerity sta ritornando. La guerra in Ucraina? Attenti allo yuan”

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foto: REUTERS/Marko Djurica

"Tra Russia e Stati Uniti trionferà la Cina. Il predominio del dollaro È a rischio. La Nato? Inutile dal 1991… Bisognerebbe chiedersi se gli Usa vogliano una soluzione per l’Ucraina o se non mirino a un nuovo Afghanistan". Sul nuovo numero di TPI, in edicola da venerdì 18 marzo, l'intervista con l'ex ministro delle Finanze della Grecia

Sei mesi fa, in un’intervista al nostro giornale, lei disse che l’austerity stava per tornare e che la Germania, a prescindere dalla fine dell’era Merkel, puntava proprio a quello. Ci risiamo?

«Assolutamente sì. È come la forza di gravità: può non piacere, ma è così. Nell’Eurozona non abbiamo Euro-Bond permanenti, né un’unione fiscale. Una crisi come quella determinata dalla pandemia, che spinge lo Stato a sostituire la spesa privata con quella pubblica, aumenta il debito sovrano, che nel caso italiano era già insostenibile (fatto salvo galleggiare grazie agli acquisti da parte della Banca centrale europea). Quando si verifica un aumento massiccio del debito comunitario, in Germania lo si giustifica come una lotta necessaria contro la deflazione. Ma quando torna l’inflazione, l’acquisto del debito pubblico italiano è ben più difficile da giustificare».

S&D
E quindi che cosa accade?

«A questo punto chiunque sia il cancelliere tedesco, o il ministro delle Finanze, ha una scelta tra due opzioni: la prima è sostenere l’unione fiscale, e la seconda è riportare l’austerity in Italia. Dal momento che l’unione fiscale non è in agenda, è evidente che ritornerà l’austerity: sicura e prevedibile come la forza di gravità».

Quali conseguenze avrà la guerra in Ucraina nell’economia mondiale?

«Prima della guerra credevo che il prezzo dell’energia, e l’inflazione più in generale, avrebbe iniziato a diminuire alla fine del 2022. Il conflitto in Ucraina ha reso evidente che ciò non accadrà. Questo vuol dire che la dinamica dell’inflazione potrebbe diventare pressoché permanente e che potremmo avere lo scenario peggiore: la combinazione tra inflazione e stagnazione, cioè la stagflazione».

La Russia è alle prese con una serie di sanzioni estremamente dure. Ritiene che l’Occidente abbia fatto bene a imporle?

«Non esiste l’Occidente. Esistono gli Stati Uniti d’America, la cui reazione ha guidato quella dell’Europa, che segue la leadership di Washington. Di fatto l’Unione europea vive in un mondo alla rovescia. La questione quindi non riguarda l’Occidente, ma gli Usa, e in particolare il dollaro».

Perché?

«Siamo di fronte a un paradosso storico. La ragione per cui l’Occidente può fare molto male alla Russia è il predominio del dollaro. Ora, costringere la Banca centrale russa a fallire dinanzi ai suoi creditori, anche se possiede miliardi di dollari, significherebbe un duro colpo per la Russia. Ma nel lungo termine c’è la possibilità molto concreta che ciò possa minare il predominio del dollaro stesso».

In che modo?

«Tanto per cominciare, il governo cinese ha l’opportunità di rafforzare la sua valuta digitale, che sta sviluppando come alternativa al sistema del dollaro. Allo stesso tempo, Pechino teme che gli Stati Uniti potrebbero fare con la Banca centrale cinese esattamente quel che stanno facendo con la Banca centrale russa. A causa di questo clima di incertezza, la Cina potrebbe iniziare a disinvestire dagli asset denominati in dollari americani, e così potrebbe fare anche il resto del mondo».

Un boomerang per gli Usa…

«Esattamente. L’America ha messo in atto potenti e dure sanzioni contro la Banca centrale russa, ma facendo questo ha minato il potere stesso del dollaro».

Pensa che la Cina uscirà rafforzata dallo scontro Usa-Russia?

«Sì, senz’altro. La Cina, ma anche gli Stati Uniti, sono i grandi beneficiari della guerra in Ucraina».

Cosa hanno da guadagnarci gli Stati Uniti?

«Stanno completamente prendendo il sopravvento sull’Europa. E le chance che aveva l’Unione europea di ribellarsi agli Usa – su temi come l’intelligenza artificiale, le Big tech, la difesa – sono sparite».

Ma cosa avrebbe potuto fare l’Europa?

«Non allinearsi agli Stati Uniti».

Intende per le sanzioni alla Russia?

«No, avrebbe potuto prevenire la guerra. Avrebbe potuto proporre a Putin una soluzione basata su un’Ucraina neutrale, finanziata dall’Ue, a condizione che non invadesse il Paese. E assicurandogli che l’Ue non avrebbe sostenuto un’espansione della Nato in Ucraina. Penso che questo sarebbe bastato a Putin per non iniziare la guerra. Non attuando questa strategia, l’Ue ha reso se stessa assolutamente irrilevante».

Pensa che Putin invaderà altri Paesi?

«Non esiste alcuna possibilità che ciò accada. Chiunque lo dica è un guerrafondaio. Non perché Putin non lo voglia fare, ma perché non può. Non ne ha la forza militare né economica. Già fa fatica a contrastare la resistenza di Kiev…».

Quando crede che finirà questa guerra?

«Nessuno può prevederlo. Io non so dirlo, perché non so se gli Stati Uniti vogliano una soluzione, o se accadrà quello che è successo in Afghanistan. Bisogna rispondere a questa domanda: quando il presidente Biden, o il suo entourage, decideranno che vogliono una soluzione? Perché quando la vorranno, l’avranno».

Come?

«Tutto ciò che serve è un summit tra Biden e Putin, che garantisca l’indipendenza ucraina sotto condizione di neutralità, con l’assistenza dell’Ue, e trovi una soluzione per l’area del Donbass e della Crimea. Potrebbero accordarsi già domani mattina. Ma la domanda è: gli americani vogliono la fine della guerra? O a loro piace questa situazione e vogliono che continui per i prossimi decenni, come l’Afghanistan?».

C’è il rischio di un conflitto nucleare?

«Il rischio è pari allo zero».

La Nato è ancora utile o è diventata obsoleta?

«Non è più utile dal 1991. Da allora, è un chiaro pericolo per la pace mondiale».

Quindi dovrebbe essere sciolta?

«Assolutamente sì, non ha più alcuna ragione di esistere».

Pensa sia ragionevole pensare di ottenere l’indipendenza energetica dalla Russia?

«Dipende da quanti soldi spenderemo. Il Green New Deal prevedeva che spendendo 500 miliardi all’anno, a partire dal 2019, saremmo diventati completamente indipendenti da gas e petrolio nel 2025. Ma finora non li abbiamo spesi, anzi, abbiamo disinvestito».

Ritiene che Putin uscirà indebolito dalla guerra in Ucraina?

«Sono certo che ne uscirà indebolito».

E gli oligarchi?

«Sono lieto che stiano avendo seri problemi. Mi piacerebbe vedere in difficoltà anche gli oligarchi occidentali, che si sono arricchiti alle spese della maggior parte del popolo europeo».

Pensa che il Fondo Monetario Internazionale abbia ancora una propria credibilità e possa considerarsi un’organizzazione indipendente?

«Il Fmi è sempre stato una organizzazione espressione del potere Usa. Ha perso la sua credibilità il 15 agosto 1971, con la fine degli accordi di Bretton Woods. Da allora il Fmi sta operando per conto di Wall Street e dell’alta finanza. È nella sua natura stare dalla parte dei creditori».

Anche lei, come altri, avverte una certa ipocrisia nel comportamento degli Usa verso questa guerra?

«Chiunque sostenga che la Nato dovrebbe intervenire in Ucraina oggi ha seriamente bisogno di una visita psichiatrica. A rischio c’è un potenziale scontro tra potenze nucleari in territorio europeo, che farebbe scomparire del tutto l’Ucraina e, forse, il resto d’Europa. Quindi al momento dovremmo mirare agli aiuti umanitari, ma soprattutto ai passi diplomatici necessari per il ritiro delle truppe russe e a un’Ucraina indipendente ma neutrale».

Quindi niente armi agli ucraini?

«Niente armi».

La risposta dell’Ue, in tutto questo, sembra essere quella del riarmo…

«Oggi il riarmo equivale a tentare di chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati. Ma supponiamo che i Paesi europei abbiano improvvisamente il doppio degli armamenti di quelli attuali. Cosa cambierebbe per la guerra in Ucraina? Assolutamente nulla, non farebbe differenza. Chi vende armi è contento, ma questa strategia ha un costo molto elevato, e in cambio offre zero vantaggi».

Un esercito europeo cambierebbe qualcosa?

«Ecco, supponiamo anche qui che venisse creato un esercito europeo, con un milione di soldati francesi, italiani, tedeschi, greci eccetera. Chi deciderà se entriamo in guerra? Macron? Scholz? Non abbiamo un governo comune, non esistono gli Stati Uniti d’Europa. E se devi mandare persone in guerra hai bisogno di una legittimazione democratica, che oggi non c’è. Pensiamo a cosa succederebbe se i leader fossero in disaccordo, non faremmo nulla e basta. La crisi europea è stata una grande occasione per formare un’unione politica, ma non l’abbiamo colta. Abbiamo scelto le banche e l’austerity».

Cosa pensa del governo di Mario Draghi a un anno dall’insediamento?

«Mario Draghi è la dimostrazione plastica del perché la democrazia sia necessaria. È arrivato a Roma direttamente da Francoforte con il pieno supporto da parte della Germania, con la Bce pronta a stampare denaro come se non ci fosse un domani per finanziare il suo governo, con un enorme consenso in Italia. Eppure? Niente. Perché? Perché la democrazia non è una lotteria. È il processo tramite il quale tu ottieni legittimazione per prendere decisioni. Quindi il fatto di avere una figura come Mario Draghi – che è molto apprezzato a livello internazionale ma che se corresse domani come primo ministro non sarebbe eletto – lo rende obsoleto».

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