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Carcere fino a 5 anni per i giornalisti che pubblicano intercettazioni non più segrete: la proposta di Forza Italia

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Due deputati di Forza Italia, Annarita Patriarca e Tommaso Antonio Calderone, entrambi membri della Commissione Giustizia, hanno depositato alla Camera una proposta di legge che prevede pene da due a cinque anni di reclusione per i giornalisti che pubblicano atti d’indagine, anche non più coperti da segreto istruttorio.

S&D

Una vera e propria “mannaia” contro la diffusione sulla stampa dei contenuti delle intercettazioni nei fascicoli dei pm. Allo stato attuale delle cose, è ammessa la pubblicazione del contenuto degli atti desecretati – che siano quindi stati visionati dalle parti coinvolte nel processo – mentre non è possibile farlo prima del termine dell’udienza preliminare: l’articolo 684 del codice penale prevede l’arresto fino a trenta giorni o l’ammenda da 51 a 258 euro.

Forza Italia vorrebbe sostituire questa norma con una nuova, l’articolo 379-ter, “che introduce una fattispecie tipica di reato, punibile da due a cinque anni e quindi, una volta approvata la norma, nessuno potrà più pubblicare con leggerezza atti di indagine fino all’udienza preliminare, così come prescritto”. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già dichiarato illegittimi provvedimenti simili in quanto lesivi della libertà di stampa.

Patriarca e Calderone scrivono in un comunicato: “Il nostro ordinamento processuale penale vieta che vengano pubblicati o diffusi atti di indagine, anche a stralcio. Purtroppo, da anni si assiste allo scempio di sbattere il mostro in prima pagina con tutte le attività di indagine, intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori o sommarie informazioni testimoniali pubblicate su tutti i giornali. Questo fatto, a oggi, è vietato da una norma che prevede soltanto una punizione blanda. Adesso si potrà avere finalmente una svolta significativa”.

Questa legge equiparerebbe nella pena i giornalisti a chiunque venga riconosciuto colpevole del reato di partecipazione ad una associazione a delinquere (5 anni), più dei condannati per truffa o corruzione tra privati (fino a 3 anni). Una svolta nel segno della volontà del ministro della giustizia Carlo Nordio, che più volte si è detto contrario alla pubblicazione dei dialoghi intercettati, definita “una porcheria” e uno “strumento micidiale di delegittimazione”.

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