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“Il ddl Pillon non tiene conto dei diritti delle donne che hanno subito violenza”: parla un’avvocata

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Credit: Non una di meno

Mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui sono coinvolti i figli minorenni. Equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari. Mantenimento in forma diretta senza automatismi e contrasto dell’alienazione genitoriale. Sono i punti che introduce il disegno di legge sull’affido condiviso presentato dal senatore leghista Pillon e arrivato il 10 settembre 2018 alla Commissione giustizia del Senato.

La norma, ha affermato Pillon durante una conferenza stampa, mira a garantire “il diritto dei figli di ricevere cura e assistenza da entrambi i genitori, trascorrendo con ciascuno di essi quanto più tempo possibile, e realizzando così il principio della bigenitorialità perfetta”.

Il testo vuole modificare la legge approvata nel 2006, che stabilisce il principio per cui l’affidamento dei minori è disposto a favore di entrambi i genitori se non ci sono pericoli per i bambini: secondo il senatore leghista, la legge sarebbe rimasta solo sulla carta e ci si ritroverebbe “di fronte a un affido che nei fatti è ancora esclusivo” e soprattutto a carico delle madri. La figura paterna, secondo Pillon, è relegata al “ruolo di genitore della domenica quando non è addirittura esclusa”.

Il disegno di legge ha sollevato molte critiche da parte di centri antiviolenza, associazioni per i diritti dell’infanzia, giuristi e costituzionalisti che ne hanno sottolineato rischi e criticità. Si sono espresse anche Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, le relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, che il 22 ottobre hanno scritto una lettera al governo italiano dicendosi preoccupate. E sabato 10 novembre a Roma è stata organizzata una manifestazione di protesta.

TPI ha intervistato Concetta Gentili, avvocata civilista e referente del Gruppo tecnico avvocate di D.I.Re – Donne in Rete contro la violenza.

Lei è un’avvocata dei centri antiviolenza da oltre vent’anni e fa parte dell’Associazione nazionale D.I.Re – Donne in Rete contro la violenza. Come atto di protesta contro il disegno di legge del senatore Pillon avete lanciato una petizione, che ha raggiunto più di di 100mila firme. Avete affermato che il decreto “è completamente decontestualizzato, slegato da quanto si verifica nei tribunali e tra le mura domestiche”. Perché?

Nei tribunali oltre l’82 per cento delle separazioni è consensuale e prevede l’affido condiviso. Forzare la mano non ha senso, non solo per quello che avviene dentro un’aula.

La famiglia che propone Pillon è una famiglia standardizzata di cinquant’anni fa, dove i singoli membri del nucleo familiare sono pensati a servizio della famiglia intesa come istituzione e non come luogo di promozione dell’individualità, aspetto invece previsto dalla Costituzione. La stessa figura del mediatore, introdotta nell’art. 1, è ideata per preservare l’unità della famiglia. Inoltre, non tiene conto del gender gap. 

Il ddl Pillon introduce la mediazione civile obbligatoria “a pena di improcedibilità” nei casi in cui sono coinvolti i minorenni. L’obiettivo è evitare che il conflitto familiare arrivi in tribunale. La mediazione obbligatoria che conseguenze può comportare per una donna vittima di violenza?

Il disegno di legge parla di mediazione civile obbligatoria nei casi di separazioni con figli minori, anche in quelle legate ad abusi e violenze. Ma la mediazione nei casi di violenza è vietata dalla Convenzione di Istanbul, che obbliga gli stati aderenti ad adottare forme di risoluzione alternative alle controversie, e questo vale anche per le mediazioni familiari. Pillon pone la vittima della violenza nello stesso setting mediativo dell’aggressore, con un rischio altissimo di riattivazione traumatica e reiterazione degli agiti violenti.

Amplifica il falso mito che le denunce sono false e strumentali: le denunce in Italia sono solo il 20 per cento dei casi, perché abbiamo un numero oscuro della violenza ancora molto elevato, ed è noto che per arrivare a denunciare una donna non ce la fa più.

Uno dei punti peggiori del ddl indica che, solo su segnalazione di uno dei genitori e senza ordine dell’autorità giudiziaria, le forze dell’ordine possono riprendere i bambini che si sono allontanati con uno dei genitori e riportarli alla loro residenza abituale. Si pensi a cosa può succedere con le case rifugio, dove le madri portano in protezione se stesse e i loro figli e che, secondo questa normativa, cessano di essere un luogo di riparo. Può arrivare la forza pubblica e prendersi i bambini.

Pillon parla di una “bi-genitorialità perfetta”, sostenendo la necessità di un equilibrio tra entrambe le figure genitoriali: tempi paritari nella cura e nell’educazione, affidamento congiunto e doppio domicilio per i minori.

L’obiettivo del ddl Pillon non è occuparsi dei minori, che tornano a essere oggetto di diritto e non più un soggetto, come afferma invece la Convenzione di New York. Nei casi di una bi-genitorialità coatta, e in attesa di un giudizio in sede penale, i minori saranno costretti a frequentare anche la casa del genitore violento. 

Inoltre, sebbene senza un riferimento esplicito, nell’art. 4 si allude alla “sindrome da alienazione parentale” (Pas), introdotta per la prima volta negli anni Ottanta dallo psichiatra Richard Gardner. È intesa come la condotta attivata da uno dei due genitori per allontanare il figlio dall’altro genitore ma non ha mai avuto un effettivo riscontro scientifico.

Il ddl Pillon propone un’equiparazione tra i genitori e l’eliminazione dell’assegno di mantenimento. Quali le conseguenze in un paese con alti tassi di disoccupazione e dove è ancora presente il gap salariale?

Il decreto prevede una clausola di invarianza finanziaria”: lo Stato non avrà ulteriori oneri dall’approvazione della legge e tutti i soggetti non abbienti ammessi al patrocinio dovranno pagare il mediatore e il coordinatore genitoriale.

Il procedimento di mediazione, come condizione necessaria per procedere, riguarda separazioni consensuali e giudiziali e divorzi congiunti o giudiziali: se faccio una separazione consensuale, e seguo tutto il procedimento, e dopo sei mesi chiedo il divorzio, devo pagare nuovamente.

Aumenteranno molto i costi delle separazioni e dei divorzi, e questo metterà in difficoltà soprattutto le donne che spesso nella coppia sono la parte economicamente svantaggiata. In Italia abbiamo un numerosissimo gruppo di famiglie che sono ancora monoreddito e, anche se ci sono due redditi separati, le donne spesso guadagnano meno dei loro compagni.

In sintesi tutto va a detrimento di chi si vuole separare, in particolare delle donne che hanno poche risorse economiche: il ddl Pillon mira a un’inscindibilità del legame matrimoniale e rende difficile l’obiettivo della separazione e, con questo, anche mettere fine a una relazione violenta.

A suo parere il disegno di legge a quale concezione di donna e di famiglia allude?

A una donna degli anni Cinquanta, un’immagine che non corrisponde all’attualità e a nessuna delle conquiste ottenute dalle donne e nelle lotte per i diritti civili. Pillon elimina l’autodeterminazione, che non è solo un diritto delle donne ma appartiene a tutti i cittadini. E spazza via il diritto all’esercizio della genitorialità, riconosciuto dalla Costituzione.

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