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3 ottobre 2013: a nove anni dal naufragio di Lampedusa l’accoglienza è ancora un’emergenza

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Sono trascorsi nove anni dal naufragio del 3 ottobre 2013 al largo dell’isola di Lampedusa, quando 368 migranti persero la vita in mare mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo: sulle coste arrivarono solo i loro corpi. Fuggivano dalla Libia in cerca di rifugio in Europa, non trovarono accoglienza. Una data che a distanza di nove anni brucia ancora: non è solo memoria di un naufragio, ma commemorazione viva e costante di un dramma ancora in corso. Da quel giorno circa 30mila persone sono morte nello stesso modo, e l’accoglienza dei migranti in arrivo dall’Africa del nord, dalla Siria o dall’Aghanistan è ancora considerata un’emergenza.

“Il 3 ottobre è un momento di ricordo in cui sentiamo la vergogna di quello che è successo e continua a succedere nel Mediterraneo. Ricordiamo le persone morte il 3 ottobre ma anche quelle che continuano a morire su tutte le frontiere, in Iran, in Afghanistan in Libia”, dice a Tpi Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che ha partecipato insieme alle altre associazioni attive sull’isola alla cerimonia notturna presso il memoriale “Nuova Speranza”, su cui sono stati incisi i nomi di tutte le 368 vittime, organizzata nell’ora esatta in cui si verificò il naufragio: le 3 e 15. Alla fiaccolata hanno partecipato alcuni dei sopravvissuti al naufragio.

“Grazie ai sopravvissuti e alla perseveranza della società civile abbiamo quei nomi, quei 368 nomi, ma questa è una eccezione: la maggior parte delle volte non conosciamo i nomi di chi perde la vita in mare, invece avere un nome preciso che puoi dire ad alta voce è fondamentale, perché sono persone che avevano legami, relazioni, interrotte drammaticamente da questo evento”, continua Bernardini. “Quella notte è stato possibile recuperare l’identità dei corpi e molte altre persone sono state salvate dalla società civile. Ma ci sono responsabilità dei governi e dell’Europa sulle morti che continuano a verificarsi. Per questo è importante dire che non vogliamo continuare a contare i morti, ma sentire le voci dei vivi, non continuare ad accettare che le persone muoiano in mare, ma fare i corridoi umanitari”, aggiunge.

Proprio l’esperienza di Lampedusa ha spinto le associazioni come Mediterranean hope a cercare altre vie per permettere alle persone di “arrivare in dignità, in sicurezza, portando con sé i loro sogni e non nella paura costante di sparire nel Mediterraneo”, continua Bernardini.  I corridoi istituito nel 2016 da Mediterranean Hope insieme alla Chiese protestanti, la Tavola Valdese, all’Otto per mille valdese hanno permesso l’arrivo in Europa di 4.023 persone, di cui 3.313 in Italia. Oltre 3mila persone, in arrivo dal Libano, fuggivano dalla guerra in Siria. Ma gli sforzi fatti finora non sono stati sufficienti a evitare morti e naufragi.

“Oggi la situazione non è cambiata. In questi anni Lampedusa ha sempre visto arrivare persone, altre non le ha viste arrivare perché morte prima, perché l’accoglienza non è mai abbastanza. A volte rischia di essere sempre il 3 ottobre, c’è sempre il rischio che quel naufragio si ripeta. Negli anni abbiamo visto alternarsi governi, diverse persone delle istituzioni, ma fondamentalmente la situazione è rimasta la stessa, l’arrivo dei migranti su queste coste sembra sempre un’emergenza. Sembra ieri che le persone sono arrivate su quest’isola senza vita ma non sono ancora state trovate soluzioni di lungo periodo”.

Per questo “il 3 ottobre non è solo un momento di auto assoluzione, ma è anche dire che c’è un senso di vergogna per quelle morti, chi è che risponde?”, si chiede la coordinatrice. Sulla possibilità che nelle prossime settimane venga nominato un ministro dell’Interno di area Lega dopo i due anni di Matteo Salvini al Viminale, ricordati per l’approvazione dei decreti sicurezza che hanno imposto una stretta all’accoglienza e ostacolato i soccorsi da parte delle navi Ong nel Mediterraneo, Bernardini afferma che una nuova stretta “potrebbe peggiorare situazioni di vulnerabilità estrema”, ma osserva: “A Lampedusa non abbiamo visto enorme differenza tra governi in termini di accoglienza dignitosa. Non abbiamo sempre fatto il meglio, la situazione è complessa. Ma la crisi dei rifugiati in arrivo dall’Ucraina non ha spaventato, non c’è stata una sensazione di invasione, ha funzionato coinvolgendo anche i territori. Perché non è possibile farlo anche con chi arriva dal Mediterraneo e dalla Libia? Hanno tutti la stessa dignità, ma forse manca la volontà politica”, conclude.

 

 

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