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Yolanda Díaz stronca il precariato in Spagna: Schlein prenda nota

Immagine di copertina
Yolanda Dìaz. Credit: WikiCommons

La ministra del Governo Sánchez ha lanciato una riforma che limita i contratti a tempo e aumenta i diritti dei lavoratori. Pure il Financial Times la elogia. E ora lei punta alla premiership. Una ricetta utile per il Pd

C’è un’esperienza politica e di governo che nasce a sinistra in Spagna e potrebbe essere utilissima anche in Italia, dove muove i primi passi la nuova leadership del Pd. È un percorso che dimostra come il contrasto al precariato, la rivalutazione del lavoro attraverso più ampi diritti e tutele, l’adeguamento di retribuzioni finora troppo basse compreso il salario minimo legale, siano condizioni propedeutiche, e non di ostacolo, a una crescita economica forte ed equa.

S&D

La riforma del mercato del lavoro lanciata all’inizio del 2022 dal governo di Pedro Sánchez ha prodotto risultati positivi in un Paese che aveva percentuali record di occupazione a tempo determinato. Già dopo appena due mesi i contratti stabili erano cresciuti di 700mila unità, mai visto prima. Oggi la disoccupazione in Spagna è scesa al livello più basso dal 2008, poco più di 2,8 milioni, e diminuisce tutti i mesi da un anno e mezzo. 

Protagonista di questa svolta è Yolanda Díaz, 52 anni, attivista nella difesa dei diritti, che ha imparato a fare politica tra i comunisti. Come responsabile del ministero del Lavoro, ha convinto sindacati e imprese ad accettare la sua proposta: limitazione estrema dei contratti a termine, assunzione a tempo solo per picchi eccezionali e verificabili di produzione, oppure per sostituzioni o per lavori stagionali, ma in ogni caso sempre tenendo legati i lavoratori al posto con contratti discontinui ma stabili. 

Già esponente di Podemos, Díaz ha lasciato due settimane fa il movimento e ha fondato un nuovo partito chiamato Sumar, con il programma di sommare, aggiungere, apportare contenuti ed esperienze politiche e sociali del mondo di sinistra, ambientalista, della società civile. Díaz vuole diventare la «prima donna premier in Spagna».

La ministra è partita rovesciando la convinzione, diffusa soprattutto tra le imprese, che non si potessero concedere diritti, salari migliori, stabilità di lavoro e contratti duraturi in un sistema che ha bisogno di flessibilità e dumping sociale, in particolare nel turismo e in agricoltura, settori chiave dell’economia spagnola, dove trionfa il precariato.

I risultati hanno dato una risposta sorprendente. Il lavoro stabile e di qualità è un vantaggio per le imprese ,che ci pensano due volte prima di licenziare perché la legge ha aumentato l’indennizzo a favore del lavoratore.

La ministra Díaz è intervenuta anche nella giungla dei “lavoretti”, nella gig economy governata dagli algoritmi. Madrid ha deciso che i rider non sono “liberi professionisti” ma dipendenti e che gli algoritmi delle grandi piattaforme non possono essere selettivi, discriminare e penalizzare un dipendente rispetto a un altro e dunque le formule matematiche devono essere trasparenti e verificabili.

In quindici mesi di attuazione della riforma, i contratti a tempo sono più che dimezzati dal 30 al 14% del totale e oggi, secondo i dati della Previdenza sociale, l’86% della popolazione attiva ha un contratto a tempo indeterminato. 

La svolta spagnola ha raccolto il giudizio positivo anche del Financial Times, che pur avverte la necessità di verificare la riforma in tempi di crisi, soprattutto per l’impatto sull’occupazione giovanile, il cui tasso di precariato è sceso dal 58 al 39% in un anno.

Nell’ultimo decennio, ha scritto il quotidiano della City, era «di moda considerare la crescente insicurezza come la naturale conseguenza dei cambiamenti del lavoro. Ma in Spagna si scopre che non era qualcosa di inevitabile a cui i politici dovevano adeguarsi. Era solo un problema che dovevano risolvere».

Intanto nel nostro Paese nei giorni scorsi la Coldiretti ha detto di avere la necessità di 100mila addetti e la Federalberghi cerca 200mila lavoratori per la prossima stagione estiva. Perché non iniziare a soddisfare le esigenze del sistema delle imprese introducendo nuove regole, contratti stabili, retribuzioni più alte? Un bel terreno di battaglia politica e sociale anche per il Pd che dovrebbe iniziare cancellando le vergogne del Jobs Act.

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