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Se Usa ed Europa giocano con le bombe a grappolo in Ucraina

Immagine di copertina

Le bombe a grappolo sono vietate dal 2008 in 123 Paesi, tra cui diversi membri della Nato, ma non sono state ufficialmente messe al bando da Stati Uniti, Russia e Ucraina

Nel corso dell’ultima settimana, mentre la Russia ha continuato a bombardare diverse città ucraine, tra cui Odessa, l’Ucraina ha formalmente iniziato a utilizzare le bombe a grappolo, fornite dagli Stati Uniti, contro molteplici obiettivi russi.

S&D

Le bombe a grappolo sono vietate dal 2008 in 123 Paesi, tra cui diversi membri della Nato, ma non sono state ufficialmente messe al bando da Stati Uniti, Russia e Ucraina, rifiutando una convenzione Onu che ne proibisce l’utilizzo, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento.

L’introduzione di questa arma letale nella guerra d’Ucraina giunge in una fase particolarmente delicata.

Da un lato, infatti, la controffensiva ucraina per riconquistare i territori annessi procede a rilento, almeno rispetto a quelle che erano le ambizioni di taluni leader occidentali, convinti che l’operazione sarebbe potuta avvenire in tempi ben più celeri.

I russi hanno disseminato con mine anti-carri e mine anti-uomo i fronti a est e a sud, rallentando la grande riconquista di Kiev incominciata ormai circa un mese fa.

Al contempo però Mosca è insidiata da una serie di minacce interne, ultima delle quali la rivolta di Prigozhin di fine giugno, ma anche esterne, come la più recente decisione del Cremlino di non rinnovare l’accordo sul grano, forse l’unica, vera conquista diplomatica sinora ottenuta.

Visto lo stallo che perdura da qualche settimana, Kiev ha accelerato le operazioni ripiegando, come chiedeva da tempo, sulle bombe a grappolo.

Queste munizioni esplodono in aria e poi rilasciano decine (a volte centinaia) di “bombette” nell’arco di un’area grande talvolta quanto un campo da calcio.

Vecchia conoscenza già ai tempi della Guerra Fredda, le bombe a grappolo vengono utilizzate nel conflitto ucraino da entrambi gli schieramenti — sia dai russi, sia dagli ucraini. Quelle inviate a Kiev oggi possono essere utilizzate con gli obici che noi occidentali abbiamo fornito a Zelensky a partire dallo scorso anno.

Non c’è dubbio che, stante le condizioni attuali, noi europei, senza averlo capito ancora sino in fondo, siamo in guerra e ci siamo con tutte le scarpe, a prescindere che l’Ucraina aderisca alla Nato o meno. Siamo in guerra per conto terzi, in questo caso. Siamo in guerra per procura. Armiamoci (noi) e partite (voi), appunto.

Avendo, noi europei, delegato la nostra politica estera quasi interamente a Washington, e non essendo pertanto portatori di un pensiero critico, fosse anche solo autonomo, abbiamo accordato a Kiev – la cui sovranità e libertà non si discutono, ma la cui capacità di gestire questo enorme arsenale sì – il via libera ad utilizzare bombe a grappolo — a patto che…”non vengano sganciate sui centri abitati”.

La necessità di prevalere su Mosca, anzi di schiacciarla del tutto, ha fatto sì che l’Occidente (cioè Washington) decidesse di armare sino al collo chi, fino a pochi anni prima, non aveva mai nemmeno preso in considerazione come un valido e affidabile alleato (Kiev), e verso il quale aveva più volte volentieri voltato le spalle, considerandolo nulla più che un’appendice di Mosca (culturalmente e militarmente).

Così oggi abbiamo inondato l’Est Europa di armi, munizioni e bombe. Di ciò dobbiamo essere consapevoli.

Il fatto è che, oltre alla Russia, c’è un’altra grande potenza geopolitica che ha annesso, sia pure solo con l’autorità morale ed esercitando un’influenza militare e culturale (ancor prima che con gli stivali dei suoi militari), il territorio di nazioni europee oltre cortina.

Nel decodificare il linguaggio geopolitico americano, l’introduzione delle bombe a grappolo conferma solamente che questa guerra ha la stessa importanza di quelle in cui Washington aveva già ricorso allo stesso tipo di arma, facendone un uso indiscriminato, e la cui letalità è riconosciuta a livello universale per le devastanti conseguenze a danno anche di civili e bambini, sia nel corso di un confitto che negli anni a venire.

Le hanno usate in Iraq, in Serbia, in Vietnam. E oggi in Ucraina, che nel frattempo è diventato il Paese “più minato” al mondo. Un’area vasta tanto quanto la Florida. Disseminata di ordigni inesplosi. Che solo per rimuoverli, ci vorranno decenni e miliardi di euro di investimenti.

Un’eredità pesante che lo zio Sam ha voluto regalare all’Ucraina, ignorando o aggirando le convenzioni e le regole condivise in seno all’ordine internazionale, che proprio Washington vuole difendere; eredità di cui, una volta finito il gioco sporco sul terreno, una volta neutralizzato il nemico russo, dovranno farsi carico gli ucraini.

E poi si chiedono perché c’è chi inizia a guardarsi intorno: almeno i cinesi, dopo aver usato la cucina, ripuliscono.

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