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Poveri senza Rdc e ricchi in fuga dalle tasse: quelle due Italie fantasma unite nel conflitto con lo Stato

Immagine di copertina
Credit: Pixabay

Il Paese è sempre più diviso, frammentato, polarizzato. Ma al contempo nella sua interezza è inviso allo Stato e, a sua volta, profondamente contro lo Stato

L’Italia è sempre di più spaccata a metà. Da un lato c’è un Paese che non arriva a fine mese, oltre 5 milioni di italiani disoccupati, perciò poveri, sprovvisti di un qualsiasi reddito con cui poter affrontare le spese di prima necessità, come quelle alimentari, per i bambini e i medicinali: una fetta sostanziale della popolazione che vive in un’area del nord del mondo in condizioni da sud del mondo.

S&D

Dall’altra c’è invece una nazione perlopiù ricca, conservatrice per natura, dotata di liquidità attiva o dormiente e di uno o più immobili di proprietà, la quale per metà (un contribuente su due) dichiara al fisco meno di 17.800 euro l’anno, mentre appena duecentomila italiani (sui 41 milioni totali) dichiarano sopra i 150mila euro l’anno e solamente 40mila (circa la metà di uno stadio gremito) oltre i 300mila.

Questi numeri dovrebbero far rabbrividire al solo pensiero per due motivi: 1. Sono 20,5 milioni gli italiani che dichiarano di vivere con 1.100/.1300 euro al mese. Il che, dinnanzi ai costi della vita in costante crescita da ormai un anno, è quasi matematicamente impossibile, specie nelle medie e grandi città; 2. Non solo i poveri hanno paura di essere poveri, in Italia: anche i ricchi hanno timone a dirsi ricchi.

È lo specchio di un Paese sempre più diviso, frammentato, polarizzato. Ma che al contempo nella sua interezza è inviso allo Stato e, a sua volta, profondamente contro lo Stato.

Da una parte chi si sente in colpa per essere povero, umiliato per essere stato aiutato grazie al reddito di cittadinanza, e poi definitivamente calpestato e dimenticato da una classe dirigente che disdegna il sostegno quasi che questo costituisse il fallimento della vita (furbetti del reddito a parte).

Dall’altra, furbetti dell’evasione a parte, chi contribuisce al fisco in minima parte e si nasconde ormai sistematicamente per paura che il “pizzo di stato” (Meloni dixit) diventi un giorno “patrimoniale di Stato”, sottraendo alla comunità ciò che invero gioverebbe a loro stessi nell’interesse del Paese che abitano.

Ciò che oggi di più impressiona, anche fra un ceto abbiente e mediamente istruito, è dunque la più totale mancanza di fiducia nei confronti Stato, nelle sue forme di controllo e di potere, nel suo funzionamento, nella sua giustizia, anche quando quest’ultimo è sotto il controllo pressoché totale del più radicale governo di destra in termini di politiche economiche e sociali.

Senza considerare che chi elude il fisco, spesso e volentieri, è anche chi poi pretende e usufruisce di servizi pubblici finanziati grazie solo ad una parte dei contribuenti: il più delle volte non la loro.

Ogni anno si stima che il mancato introito delle tasse da parte di tutti i contribuenti italiani, nelle modalità e nelle somme dovute, corrisponda a circa 100 miliardi di euro.

Solo così possiamo spiegare e giustificare il boom dei “servizi” privati tout court – in qualsiasi campo, attività e ambito, ancor meglio se estremamente di lusso e se in nero – valvola di sfogo di quei 100 miliardi sottratti al fisco. Perché non tassati, appunto. E quindi percepiti come risparmio.

Questo è il motivo per cui ancora troppe volte ci sorprendiamo e non riusciamo a spiegarci come mai, nonostante la crisi, i ristoranti siano pieni e gli hotel pure; e al contempo come mai, nonostante l’Italia sia un Paese occidentale e ricco, milioni di italiani non arrivino a fine mese e abbiano bisogno di essere aiutati.

Da queste due forti pulsioni il governo è spinto: diviso tra il popolo del reddito e quello del fisco, tra il consenso popolare e le promesse elettorali da mantenere. Inutile dire da quale parte cada la bilancia. Buona estate.

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