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Razzismo, la “battuta” di Cellino su Balotelli dimostra che siamo veramente alla frutta

Immagine di copertina
Cellino e Balotelli

Se a cantare il coro razzista è l’ultrà della curva è grave, ma quando la parola sbagliata esce dalla bocca del presidente di una squadra di calcio siamo veramente alla frutta. È il caso della battuta infelice – chiamiamola così – pronunciata dal Presidente del Brescia Calcio, Massimo Cellino, parlando di Mario Balotelli. Il patron della squadra lombarda, rispondendo a un giornalista che gli chiedeva “Cosa succede con Balotelli?” ha detto testualmente: “Succede che è nero, cosa devo dire, che sta lavorando per schiarirsi però c’ha molte difficoltà”.

S&D

Poi Cellino ha parlato di calcio, di come il rendimento del giocatore non lo soddisfi, delle sue distrazioni e di tutto quello che avrebbe potuto tranquillamente dire senza quella battuta di pessimo gusto. Per alcuni il fatto potrebbe sembrare di poco conto, le suffragette de “non c’è emergenza razzismo” diranno che è solo ironia, che noi “buonisti col rolex” pensiamo sempre male, che Balotelli sa solo fare la vittima mentre guadagna un sacco di soldi per dare calci a un pallone di cuoio.

Il Brescia Calcio, in una nota, ha minimizzato: “È stata una battuta a titolo di paradosso, palesemente fraintesa, rilasciata nel tentativo di sdrammatizzare un’esposizione mediatica eccessiva e con l’intento di proteggere il giocatore stesso”, ha scritto l’ufficio stampa della squadra per correre ai ripari. In realtà la battuta del Presidente del Brescia al suo attaccante suona come un “tana libera tutti”. Se lui che è il capo può giocare sul colore della pelle, chi urla sulle gradinate si sentirà autorizzato a fare il verso della scimmia quando il giocatore toccherà la palla o a gridargli ne***ro di me***da quando farà un fallo.

Cellino potrebbe dire che non è certo lui a incitare quei cori, che lui a Balotelli paga un lauto stipendio, ma nei fatti, con la sua leggerezza, di quegli ululati e di quei cori diventa in maniera più o meno inconsapevole un complice. È una questione di responsabilità: se sei un personaggio pubblico, se intorno a te si formano capannelli di giornalisti con telecamere e microfoni, la battuta sul colore della pelle del giocatore non la devi fare.

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