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Malgoverno, sfruttamento e inquinamento: perché l’agonia del Po è anche colpa nostra (di R. Gianola)

Immagine di copertina
Credit: Ansa

Non piove, governo ladro! Non c’è più acqua. Il Po, il nostro fiume, è ridotto male: una sabbia umida, fangosa sostituisce la corrente impetuosa di un tempo. Non piove da mesi, il clima è impazzito, i ghiacciai delle Alpi si esauriscono, i laghi del Nord si abbassano e, per contorno, ci sono le autorità del Lago di Garda che rifiutano di concedere più acqua al Grande Fiume come se fosse di loro proprietà, come se l’acqua potesse essere rinchiusa, blindata, posseduta, etichettata per provenienza comunale.

S&D

Il Po è in crisi nera, da settant’anni non si è mai vista una secca così grave e spaventosa. Dal Piemonte alla Lombardia oltre 120 comuni hanno iniziato a razionare l’acqua, non s’innaffiano l’orto e il giardino, niente piscina, risaie a rischio, da Torino al Ponte della Becca di Pavia, fino a Mantova, Cremona e poi giù verso il Polesine è un disastro, un panorama che non si può guardare. Manca l’acqua e forse mancherà sempre di più, se le previsioni sono corrette, se la tendenza storica all’impoverimento dei bacini idrici proseguirà. Si tratta di un fenomeno planetario, non riguarda solo l’Italia. Però noi ci abbiamo messo malgoverno, sfruttamento, inquinamento per danneggiare e defraudare quella ricchezza immensa rappresentata dal Po. Decenni di trascuratezza e di menefreghismo. L’emergenza climatica non è una novità, sono anni che gli esperti ripetono le stesse cose, eppure non cambia nulla. Come sempre succede la politica, il governo si sono destati davanti all’emergenza. Quando il Po si arrabbia, quando diventa così arrogante da spaventare allora s’interviene, a Roma scatta l’allarme a ogni alluvione, come ora si prepara lo Stato di crisi per la siccità. Poi, cessata la bagarre mediatica e finiti i titoli di apertura del tg, ci si dimentica del nostro amato fiume e di tutti i suoi, nostri, problemi. Fino alla prossima pioggia eccezionale, all’inevitabile esondazione, a qualche misterioso e delinquenziale sversamento di veleni nelle acque.

Il Po avrebbe meritato e merita un’attenzione particolare, una cura speciale. C’è un pezzo di questo Paese bellissimo e malmesso che nasce, vive e muore sulle sponde del Po. Non c’è federalismo o regionalismo che tenga, nemmeno la vecchia, ridicola ampolla del rito leghista che portava la sacra acqua dal Monviso a Venezia, può fare il miracolo di risvegliare questo fiume amato, temuto, sfruttato e purtroppo avvelenato.

Il Po è il più grande bacino idrografico italiano con un’estensione di 70mila chilometri quadrati e un’area di pianura di 46mila chilometri quadrati. Il bacino del fiume interessa otto regioni, in particolare quelle a maggiore vocazione e concentrazione industriale, e coinvolge 3210 comuni. Oltre 16 milioni di persone sono direttamente interessate alla vita del fiume che offre la linfa vitale a circa il 37% dell’industria nazionale e promuove il 47% dei posti di lavoro.

Non solo fabbriche, laboratori artigianali, commerci, ma anche un’estesa e originale agricoltura con prodotti unici al mondo. Un tessuto agroalimentare che diventa la seconda industria manifatturiera del Paese, un settore che dal 2008 a oggi ha registrato i più alti tassi di crescita delle esportazioni. E poi ci sono allevamenti sterminati con milioni di capi bovini e suini, e tre sole regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna) rappresentano ben più della metà dell’intero patrimonio zootecnico nazionale. E tutti, ma proprio tutti, usano, sfruttano, lavorano, irrigano con le acque del Po, sempre più arido, indebolito, con il rischio che possa morire, ucciso dai suoi figli che hanno prosperato sulle sue risorse, sulle sue energie, sulla sua bellezza.

Il Po, le sue acque, le sue valli, le sue sponde, tutto questo sistema potrebbe essere una grande occasione per costruire un modello di green economy, ma abbiamo perso tempo e opportunità. Da qualche parte giace una Direttiva europea sulle acque, vecchia di qualche anno, che forniva indicazioni chiare ai governi nazionali in tema di qualità e sicurezza delle acque, di conservazione, di partecipazione dei cittadini. Noi siamo sempre stati indietro, in ritardo sia nel processo di governo unitario del Po, per ripartire nettamente competenze e responsabilità, sia per gli interventi finalizzati a mettere in sicurezza il fiume e le comunità che ci vivono attorno. Il nostro fiume un tempo maestoso è diventato un rigagnolo maleodorante, questa è la realtà.

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