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Home » Opinioni

L’ambiguità del Pd e una sinistra che ha smarrito i propri valori (di M. Tarantino)

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Qualche giorno fa in un editoriale su La Stampa Luigi Manconi rendeva plasticamente l’idea di come la sinistra nel Paese oggi sia smarrita e colpita da una crisi profonda che scende fino ai suoi istinti primari e alle pulsioni stesse da cui prende vita. Alcune di queste pulsioni, che decliniamo in “valori” solo per eluderne la loro profonda influenza, rispondono a veri e propri bisogni, ovvero condizioni base, con cui un soggetto o una comunità è disposta a riconoscersi in un partito.

S&D

Per quanto ci si sia sforzati, almeno nelle dichiarazioni, a promuovere un percorso costituente, rimasto per lo più solo negli auspici di circostanza e nelle frasi vuote (o per lo meno inascoltate) di alcune mozioni, il tema sulla scala valoriale del Partito Democratico rimane ancora irrisolto, o quanto meno ambiguo, in equilibrio su un crinale che può generare posizioni anche contrapposte a seconda delle circostanze, vedi politica economica del partito negli ultimi 10 anni. Il fatto di stare da una parte o dall’altra del criminale spesso è dovuto a una serie di fattori esterni, ovvero pressioni di tipo mediatico, gruppi editoriali e televisivi che sul (e nel) Partito Democratico fanno periodicamente delle vere e proprie “campagne”, sondaggi, lobby organizzate.

Recentemente anche influencer del web sono in grado spesso di condizionare le scelte nel partito o di pezzi dello stesso. Sono dinamiche che interessano anche altri soggetti politici, ma è sul PD che trovano particolare soddisfazione, al punto da evidenziarne una mancanza di autonomia. Tale ingerenza si è manifestata in maniera sempre più evidente e inesorabile negli ultimi 10 mesi, in particolare sul tema della guerra.

Quella strana dinamica di dissociazione dal partito che ha interessato intere fasce dell’elettorato che negli anni lo hanno abbandonato si è verificata soprattutto dopo il 2013/2015, quando nel nome di una sinistra avanguardista e riformista sono state fatte dal Pd leggi di stampo liberista (job acts) volte alla tutela degli interessi del capitale – la ritroviamo oggi in una crisi identitaria paragonabile, se non ancora più evidente, a quella che fu del periodo renziano. Una crisi che nell’ultimo anno sta devastando la sinistra tutta e che è generata dalla posizione che l’Italia ha avuto, ed ancora ha, sulla guerra e in particolare sul pacifismo.

Tale colpa è da attribuire solo al Partito Democratico perché, nel nome del “lettismo”, nel periodo a cavallo del governo Draghi e le politiche del settembre 2022, si è passati sopra a qualsiasi principio di pacifismo semplicemente tacendo a proposito. Smantellato il “campo largo”, il capolavoro politico della lista “progressisti e democratici” ha consumato il dramma di una sinistra tutta, nessuno escluso, che da Fratoianni a Schlein, da Bonelli a Soumahoro, passando per Civati, hanno taciuto sulla guerra, legittimando la demonizzazione del pacifismo in Italia.

Ci sono stati mesi in cui nel nome della dinamica aggressore/aggredito, si è riconosciuto Zelensky come una sorta di capo del CNL, si è delegittimata l’ANPI nel giorno del 25 aprile, si è passati sopra ad alcune azioni di cancel culture, si sono viste liste di proscrizione sui quotidiani che si vorrebbero “redatte” dai servizi segreti. Sono stati mesi in cui la Sinistra ha squarciato qualsiasi valore di pacifismo al suo interno. Camminando sul crinale dell’ambiguità di cui sopra, ha preso le distanze da quelle fasce sociali che hanno sfilato nella manifestazione per la pace di novembre, dalla Cgil di Landini, alla comunità di Sant’Egidio di Riccardi; ha irriso e marginalizzato una schiera di intellettuali storicamente di sinistra, non rendendosi conto che così facendo stava misconoscendo la sua stessa identità, proprio nel momento in cui la destra attuava un’azione di ribaltamento dei valori e dell’egemonia culturale nel Paese.

Ma ancor peggio ha – per l’ennesima volta – voltato le spalle a una grande maggioranza che criticamente e responsabilmente non voleva, e non vuole, l’invio delle armi all’Ucraina temendo una escalation militare.

Per mesi si è chiesta al Partito Democratico una posizione che non fosse di atlantismo estremo, che proponesse altre strade rispetto a quella di fornire armi a tutti costi, mentre le spese militari aumentano in maniera esponenziale e diminuiscono le spese sociali in ogni settore del welfare, mentre nel nome della difesa Ucraina l’Europa sta cadendo sotto i colpi di una crisi che non accenna a diminuire e rischia una guerra nucleare al suo interno.

Va sottolineato che oggi accade ciò con il Pd all’opposizione, ovvero – nel momento in cui con la Meloni a Kiev che ha impegnato il Paese in un nuovo invio di armi – l’unico a contrapporre un controcanto chiedendo che il Presidente del Consiglio vada in Parlamento a riferire è stato Conte. Nessuno che abbia chiesto nulla nel merito, in un momento in cui la stampa ha parlato di fornire all’Ucraina addirittura dei jet da combattimento; nessuno nel PD che abbia, anche strumentalmente, chiesto un chiarimento, neanche i candidati alle primarie. Tutto ciò mentre stride l’assenza della sinistra alla marcia della pace di giovedì scorso ad Assisi. La trattazione del conflitto ucraino è totalmente assente dal congresso del PD, un silenzio assordante sul principale argomento che impatta non solo sulla politica estera, ma anche sulla politica economica e sociale del Paese.

Se tutto ciò è serio saranno i votanti alle primarie a farcelo sapere. Resta il fatto che il PD è ai minimi storici, dopo aver perso un intero popolo che non gli ha più riconosciuto la difesa di alcuni valori, come la giustizia e l’equità sociale e il diritto al lavoro. Oggi il partito sconta, su un altro fronte, una delle più forti perdite identitarie, ovvero la perdita dei valori pacifisti. Un altro passo a favore dell’oblio culturale della sinistra che, “smarrita” lentamente, si sgancia dalle sue radici. Non c’è molto altro da commentare, se non sperare che il prossimo segretario o segretaria del Partito Democratico sappia ridare un’autonomia, un’autorevolezza e un’identità al partito, sostenendo il pacifismo e il ritorno alla difesa dei diritti sociali.

Senza una sinistra sociale che prenda le distanze dal capitale e ritrovi una dignità culturale, non vi sono prospettive rosee nonostante le fanfare mediatiche del “derby” delle primarie.

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