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Milano-Cortina tra luci e ombre

Immagine di copertina
Credit: AGF

Al netto degli entusiasmi sportivi e dei riflessi d’immagine internazionale, queste Olimpiadi invernali rappresentano un’occasione strategica per investire e rilanciare territori strutturalmente fragili, migliorare la connettività fra questi ultimi e imprimere un’accelerazione verso processi di rigenerazione urbana e coesione territoriale che, diversamente, avrebbero richiesto decenni e con maggiore difficoltà si sarebbero concretizzati

A sette mesi dall’inizio dei Giochi, Milano-Cortina 2026 si configura come una delle più interessanti sfide infrastrutturali, economiche e sociali per il Paese.

Al netto degli entusiasmi sportivi e dei riflessi d’immagine internazionale, queste Olimpiadi invernali rappresentano un’occasione strategica per investire e rilanciare territori strutturalmente fragili, migliorare la connettività fra questi ultimi e imprimere un’accelerazione verso processi di rigenerazione urbana e coesione territoriale che, diversamente, avrebbero richiesto decenni e con maggiore difficoltà si sarebbero concretizzati.

Uno studio condotto dall’Università Bocconi in collaborazione con il Comitato Olimpico Nazionale e la Fondazione Milano Cortina 2026 è arrivato alla conclusione che l’evento potrà generare un impatto economico complessivo superiore ai 5 miliardi di euro, con una ricaduta positiva su Pil, filiere produttive locali e occupazione.

In questo senso si stima la creazione di oltre 20mila posti di lavoro lungo tutto il ciclo pre-olimpico, olimpico e post-olimpico. Un numero che, se confermato, risulterebbe significativo in particolare per le aree alpine e pedemontane che scontano da anni un progressivo impoverimento demografico ed economico. L’effetto forse più visibile sarà quello infrastrutturale.

Non si tratta soltanto di impianti sportivi (di cui l’89% sarà riadattato o temporaneo) ma anche di strade e ferrovie: dalla riqualificazione della Statale 51 (frane permettendo) e dei nodi di accesso a Cortina d’Ampezzo (con buona pace per l’evitabile aeroporto ambito dalla Ministra Santanchè) fino al potenziamento delle linee ferroviarie tra la Lombardia e le valli dolomitiche.

È prevista anche la riconversione del Villaggio Olimpico in un campus universitario con standard NZEB (Nearly Zero Energy Building) pensato per rimanere come lascito urbano alla città di Milano. Queste infrastrutture, se completate nei tempi, non saranno semplici “accessori” olimpici ma elementi strutturali destinati a durare. L’esperienza dei Giochi Invernali di Torino 2006 ha dimostrato come, in assenza di piani strutturali post-evento, il rischio di cattedrali nel deserto sia concreto.

Per Milano-Cortina la sfida consiste proprio nel tradurre l’eccezionalità dell’evento in normalità di sistema: ridurre distanze territoriali, promuovere turismo sostenibile e rendere più accessibili aree storicamente periferiche. Ma Milano-Cortina ha anche il compito di esercitare la funzione di laboratorio innovativo.

La centralità attribuita all’accessibilità (fisica e digitale), la mobilità, l’inclusione e il coinvolgimento delle comunità locali sono segnali di una visione contemporanea dell’organizzazione olimpica. E come tali vanno premiati. Un’Olimpiade meno spettacolare e più concreta, meno costruita per la televisione e più pensata per i cittadini.

Tuttavia permangono alcune ombre e ritardi. Taluni cantieri strategici sono ancora in fase embrionale. Le procedure autorizzative si sono rivelate, in alcuni casi, più lente del previsto. Le dinamiche tra i player istituzionali non sempre sono state improntate alla collaborazione più efficiente. Proprio in questo contesto occorre spendere due parole sul riconoscimento sportivo e quindi politico che il nostro Paese vuole attribuire al lavoro svolto dentro le istituzioni.

Il “case study” Malagò è paradigmatico: rimane ancora oggi emblematica la foto che al momento dell’assegnazione di Milano-Cortina ritraeva, in un’esplosione di gioia collettiva, l’ex numero uno del Coni, i presidenti di Veneto e Lombardia, ed il Ministro Giorgetti tra gli altri.

A riguardare quella diapositiva, oggi quantomeno sbiadita, si direbbe che la politica, con le sue regole talvolta ottocentesche e in barba al buon senso, abbia scelto di mettere da parte proprio l’italiano che – fra tutti – forse più si era speso, aveva creduto, tessuto e difeso la candidatura italiana in ambito olimpico e internazionale. Scelta legittima, riflessione doverosa. Per tutto il sistema Paese. A futura memoria.

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