La disaffezione per la politica non è invincibile: la lezione per la sinistra che arriva da New York
Ecco che cosa ci insegna la sorprendente vittoria di Zohran Mamdani nella Grande Mela
New York non è l’America, (e l’Italia non è l’America), né Zohran Mamdani, sindaco neoeletto della Grande Mela col 50,39,% dei voti contro il 41,59% di Andrew Cuomo, non è (ancora) l’anti-Trump. Tuttavia è clamorosa la vittoria che incorona il giovanissimo (34 anni) Mamdani, ugandese di nascita, musulmano, dichiaratamente socialista (un’eresia negli States), primo cittadino della capitale morale degli Usa. È il segnale alla Grande Repubblica e al mondo intero che una sinistra dichiaratamente progressista, che non teme di esserlo e di proclamarlo ad alta voce, è capace di mobilitare al proprio fianco il vasto mare dei senza voce, degli emarginati, dei derelitti che si sono allontanati dalle urne per disperazione o rassegnazione.
Mamdani, democratico dissidente, è lo schiaffo all’establishment del partito democratico che in campagna elettorale non aveva osato appoggiarlo apertamente quando non si era dissociato dalla sua candidatura adducendo l’argomento che Mamdani era eccessivamente radicale; che il suo essere schierato per i palestinesi (non ha avuto timore di definire “genocidio” la strage di Gaza) gli avrebbe alienato le simpatie della parte moderata dell’elettorato dem e convinto le potenti lobby ebraiche newyorkesi a scegliere Cuomo. L’ex presidente Obama, a ridosso del voto, gli aveva offerto un cauto endorsement. Gli elettori hanno scelto in luogo dell’establishment. Immigrati, neri, disoccupati, studenti e operai delusi dal trumpismo hanno affollato i seggi elettorali, mai come oggi da 50 anni l’affluenza è risultata alta. È anche questo il segnale che la disaffezione per la politica non è invincibile. Purché la politica torni a parlare agli elettori anziché alle lobby (ebraiche e non), agli agglomerati finanziario-industriali, a quel deep state che orienta la politica non soltanto americana. L’aiuto a Mamdani lo ha fornito, certo involontariamente Trump, bullizzando la sua campagna elettorale. “È un comunista” lo ha accusato. Minacciando in caso di sua elezione, di tagliare i fondi federali a New York e di inviare la guardia Nazionale come The Donald ha già fatto in alcuni Stati dell’Unione.
La travolgente vittoria elettorale mette il partito dell’Asinello di fronte alle proprie responsabilità ed omissioni. Schierato con Obama alla Casa Bianca e soprattutto con Hillary Clinton (candidata sconfitta alle presidenziali da Trump nel2016) dalla parte della grande finanza, delle corporation regine di Wall Street, e in definitiva del capitale, il partito democratico con Biden è stato la miccia che ha acceso l’escalation belligerante per isolare e smembrare la Russia. Ha provocato l’invasione dell’Ucraina e costretto gli Usa ad alimentare una guerra per procura, complice la sottomessa Europa, che agli americani non piace affatto. Nei sondaggi e nel gradimento dell’opinione pubblica il partito democratico annaspa alla ricerca di un equilibrio politico impossibile, oscillando fra un antitrumpismo di facciata e posizioni ondivaghe in politica interna ed estera. Mamdami gli indica la via. Essere netti e chiari, formulare proposte semplice e comprensibili come quelle elaborate per New York: asili gratuiti, supermercati gestiti dalla città, trasporti pubblici a basso costo, blocco dei due milioni di affitti che gravano sulle tasche dei più poveri. Politiche sociali insomma, delle quali al grande Mela ha disperatamente bisogno.
l successo di Mamdami trascina con sé le vittorie elettorali di due politiche donne. La candidata democratica, Mikie Sherrill, ha vinto la corsa a governatore dello stato del New Jersey con il 56,2%, pari a 1.792.760 voti, confermando il colore politico dello stato. Il candidato repubblicano, Jack Ciattarelli, ha preso il 43,2%, pari a 1.378.391 voti. In Virginia, con il 97% dei voti scrutinati, la candidata democratica Abigail Snaberger vince con il 57,5%, con 1.961.990 voti, segnando un cambio di colore politico dello stato, mentre la vicegovernatrice repubblicana uscente, Winsome Earle-Sears, ha preso il 42,3%, pari a 1.442.197 voti.
Trovo francamente fastidiose le manifestazioni di esultanza da parte di esponenti del partito democratico italiano che salutano la vittoria di Mamdami come l’alba di una nuova era. Nicola Zingaretti, eurodeputato, e già segretario del partito (silurato perché troppo tenero con i 5stelle) scrive: “Quando la politica parla di vita reale e di giustizia sociale, le persone tornano a crederci. La speranza si riaccende solo se la politica torna a migliorare davvero la vita delle persone”. Peccato che Zingaretti, in amplissima compagnia con i colleghi di partito, a Bruxelles si sia espresso a favore del Ream Europeo o Readyness 2030, il colossale piano di riarmo europeo da 800 miliardi in dieci anni che in Italia ha raccolto gli evviva della destra e provocato il salto al 2% del Pil in spese militari che ci costerà 12 miliardi l’anno. Anche Elly Schlein esulta e si capisce. Resta da vedere come la segretaria farà fruttare questa sterzata a sinistra all’americana sul terreno domestico. Accusata di essere troppo di sinistra dall’ala moderatissima del suo partito, talmente moderata da essersi distaccata da Stefano Bonaccini, il presidente del Pd, fino a ieri alfiere dei cosiddetti riformisti, Schlein deve fare i conti con, fra gli altri avversari interni, con la lobby filoebraica.
Picierno, Gentiloni, Fiano, Guerini sono sulle barricate e soppesano ogni parola della segretaria sul tema incandescente di Gaza e Israele. Le impongono cautela nella condanna dei crimini di Netaniahu e la costringono a camminare sul terreno minato dei compromessi, “del dico e disdico” e magari evito di dire, a scanso di accendere liti interne al partito. Con queste desolanti premesse, una svolta a sinistra alla newyorchese del Pd appare, a dispetto delle esternazioni di giubilo per Mamdani, quanto meno irrealistica. Per la gioia di quanto propugnano l’alleanza progressista il più larga possibile, difatti Schlein, si rifugia nel mantra dell’essere “testardamente unitaria”. Trascurando le differenze politiche abissali fra le varie componenti dell’alleanza medesima. Ce li vedete i 5 Stelle e Renzi confrontarsi sull’Ucraina e Gaza? Il che tradotto in termini fuori dalle fumisterie del politichese significa che il Pd rischia di venir pilotato, per amore o per forza (a naso più per forza che per amore) verso l’area centrista ipermoderata presidiata dai Mohicani di Renzi, visto che Calenda si è innamorato di Crosetto e Tajani e ha scelto di rischierarsi con la destra. Vista da Roma, New York insomma è terribilmente lontana. Irraggiungibile e inimitabile. Un bellissimo sogno perduto nella nebbia delle buone intenzioni. Delle quali, è noto, è lastricata la via dell’inferno.