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Che impatto avranno le chatbot sulle nostre vite? Meglio chiederselo prima che dopo (di S. Mentana)

Immagine di copertina
Credit: Unsplash

Programmi intelligenti come ChatGPT sono già parte integrante del lavoro di molte persone. E stanno cambiando il rapporto tra esseri umani e macchine. Non possiamo ignorare questa realtà

Quando Facebook sbarcò nelle nostre vite non avevamo una parola per definirlo. Solo pian piano che iniziavamo a conoscerlo, abbiamo scoperto che quel sito dove mettevi una tua foto e ritrovavi compagni di classe delle elementari faceva parte di una categoria specifica, chiamata “social network”. Come Facebook, ne sono sbucati altri, alcuni durati il tempo di una moda, altri ben consolidati, ma ad anni di distanza possiamo dire che sono uno strumento ben presente, se non fondamentale, nella vita di tutti i giorni.

S&D

Col tempo abbiamo scoperto tutti gli aspetti di questi strumenti. Per l’utilità e la rapidità con cui ci connettono rapidamente in tutto il mondo sono di fatto diventati qualcosa di paragonabile a un telefono o a un altro servizio, ma abbiamo anche scoperto quanto abbia completamente modificato i legami tra le persone e il modo di rapportarsi gli uni con gli altri. Quando iniziavamo a prendere confidenza con quel sito che non sapevamo come definire e in cui pensavamo di limitarci a ritrovare i compagni delle elementari, forse nessuno di noi era in grado di comprendere a pieno quanto avrebbe impattato sulle nostre vite.

Oggi sta prendendo piede una nuova realtà, ovvero l’intelligenza artificiale. O meglio, l’intelligenza artificiale esiste da molto tempo, ma da poco realtà come ChatGPT, Midjourney o DALL·E stanno fornendo strumenti alla portata di tutti che già oggi sono parte integrante del lavoro di molte persone. A prova di un’importanza crescente di tali strumenti c’è il fatto che il Time, non esattamente l’ultimo prodotto editoriale arrivato, abbia dedicato la sua ultima copertina proprio a ChatGPT.

Ma proprio per la diffusione che già stanno avendo, è giusto chiederci a cosa ci porteranno e se saranno in grado di stare al passo con le necessità degli utenti, che stanno inserendo negli appositi prompt input sempre più complessi, col rischio di mettere in difficoltà le macchine. Come si costruirà il rapporto tra gli umani e questi programmi? C’è il rischio, da parte nostra, di fidarci troppo di risposte che ancora oggi potrebbero non essere all’altezza dei nostri compiti o, addirittura, li portino fuori strada? C’è il rischio che il nostro lavoro tenda a standardizzarsi proprio in virtù di una diffusione di massa di tali strumenti? In che modo cambierà il nostro modo di lavorare?

Faremmo bene a porci già adesso queste domande anche sulle chatbot e i loro derivati, per evitare di cascare dal pero domani. Ma la questione fondamentale è un’altra: qual è la categoria di persone in grado di darci risposte? In questo mondo che cambia e si fa sempre più liquido, anche questa è una domanda da non sottovalutare.

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